1. Trang chủ
  2. » Ngoại Ngữ

Nel suono, nella luce appunti per una esegesi dei rapporti tra spazio architettonico, light art e musica

23 9 0

Đang tải... (xem toàn văn)

Tài liệu hạn chế xem trước, để xem đầy đủ mời bạn chọn Tải xuống

THÔNG TIN TÀI LIỆU

Nội dung

Nel suono, nella luce: appunti per una esegesi dei rapporti tra spazio architettonico, light art e musica Agostino De Rosa-Università Iuav di Venezia-facoltà di Architettura Sommario La storia del rapporto tra spazio architettonico e spazio sonoro è stata studiata utilizzando diverse prospettive, e molteplici approcci antropologici In questo studio si crecherà di connettere alcune di queste riflessioni ad un tema di ricerca artistica che, negli ultimi decenni, sta assumendo contorni sempre più definiti e applicazioni pratiche sempre più originali e coinvolgenti per il fruitore: si tratta delle relazioni tra suono, spazio e luce Si proverà a definire il significato di questa triade, così da poterci a riferire ad essa, da ora in avanti, senza ambiguità semantiche Lo scenario è costituito dallo Château de Luth, in Belgio, dove un coro polifonico, dal simbolico nome di the Courage Consort, si dirige per studiare ed eseguire una complessa partitura contemporanea, Partitum Mutante, piena di acrobatiche dissonanze, del compositore italiano Pino Fugazza I cinque musicisti - Catherine, Roger, Julian, Ben e Dagmar – trascinano in questo luogo remoto, circondato da una foresta densa e spettrale, non solo i loro corpi sonanti, ma anche le loro paure e le loro debolezze delle quali il paesaggio circostante diventa cassa di risonanza Lo strumento più puro e basico, la voce umana, diventa eco delle vicende intime dei componenti del coro, ognuno una drammatica storia alle spalle, ma è soprattutto Catherine, vera protagonista del racconto A voce nuda1, di Michel Faber, a intessere un inquietante rapporto lo spazio visivo e acustico che la circonda: è lei l’unica del gruppo a sentire le strazianti grida notturne provenienti dal bosco circostante che diventa una perfetta traduzione fisica del suo buio interiore – segnato dalla morte della madre suicida, da lei scoperta cadavere in tenera età -, in cui anche l’assenza del canto degli uccelli genera il presagio di una tragedia imminente In un luogo dove soggiornarono anche Luciano Berio e Cathy Berberian, Silvano Bussotti e Henri Pousseur, le ardite strutture virtuosistiche della composizione inedita, attraverso il continuo mostrare i limiti fisici degli esecutori, rendono consapevoli i membri del coro che, oltre alle loro voci, esistono i rispettivi corpi percepenti, e che le armonie studiate in anni di sodalizio vocale si liquefano di fronte al loro incarnarsi in esseri materiali Lo scrittore di origini olandesi sembra fornirci, in chiave letteraria, l’assunto che non possa esistere suono al di fuori di uno spazio, sia esso quello esperienziale e fisico della vita quotidiana, sia esso quello intimo e ascoso della nostra vita interiore, e che nessuno spazio sia effettivamente silenzioso, ma brulichi continuamente di suoni, udibili e non udibili Come osserva acutamente Colin Ripley, “Il suono e lo spazio si rinforzano vicendevolmente nella nostra percezione; le qualità di uno spazio si riverberano su come noi percepiamo un suono e quelle di un suono si riflettono su come percepiamo uno spazio Spazio e suono sono collegati in modo inestricabile nella nostra esperienza di ciò che è in essere nel mondo.”2 M Faber, A voce nuda, Einaudi, Torino 2005 (ed orig., The Courage Consort, Harvest Books, Fort Washington 2005) “Sound and space mutually reinforce one another in our perception; the qualities of a space affect how we perceive a sound and those of a sound affect how we perceive a space Space and sound are inextricably linked in our experience of what it is to exist in the world” Cfr C Ripley, Introduction: In the Place of Sound, in a cura di, C Ripley M Polo e A Wrigglesworth “In the Place of Sound: Architecture | Music | Acoustics”, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle 2007, p 2 La storia del rapporto tra spazio architettonico e spazio sonoro è stata scritta, da differenti angolazioni critiche e impiegando differenti approcci antropologici, tuttavia in questa sezione cercherò di connettere alcune di queste riflessioni ad un tema di ricerca artistica che, negli ultimi decenni sta assumendo contorni sempre più definiti e applicazioni pratiche sempre più originali e coinvolgenti per il fruitore: si tratta delle relazioni tra suono, spazio e luce Proviamo a definire il significato di questa triade, così da poterci a riferire ad essa, da ora in avanti, senza ambiguità semantiche Con suono (dal latino sonum) si indica un preciso fenomeno oggettivo che, nelle parole dei fisici acustici Levarie e Levy, “… è energia di vibrazione del tipo che può essere percepito e trasformato dall’orecchio… Ovviamente ci sono altri tipi di oscillazioni periodiche che non possono essere udite… Tra le possibilità infinite della vibrazione fisica, il suono è vibrazione compresa in un certo ambito.” Dunque, in prima approssimazione, potremmo dire che il suono, quale sensazione prodotta dalla vibrazione di un corpo in oscillazione, è una forma di proiezione che, attraversando l’aria o un altro mezzo elastico, raggiunge il nostro sistema auricolare, dove luogo il percetto uditivo (o immagine acustica) Dunque, del mondo esterno riceviamo col suono un’immagine acustica totalmente ascoltatore-dipendenete, soggettiva e del tutto diversa da individuo ad individuo, pur nella oggettività del fenomeno fisico che la produce La musica allora può semplicisticamente essere assunta come un sistema organizzato – secondo diversi criteri compositivi, ovvero culturali - di suoni che stabiliscono complessi rapporti la nostra psiche: “… ad un processo fisico esterno corrisponde un processo spirituale interno La musica nasce quando entrambi sono ‘intonati’ l’uno l’altro Il suono musicale, come tutte le sensazioni, è un dato psicofisico.”4 Quest’ultimo aspetto, rivestirà una particolare importanza, come vedremo più avanti, quando analizzeremo le modalità di interazione fra suono e spazio attraverso il medium della luce, il cui modello di propagazione e quello percettivo, pur nella diversità dei fenomeni fisici che li contraddistinguono, è avvicinabile a quello acustico Altro topos cui faremo riferimento è quello di spazio, solo che la definizione qui sembra sfuggire alla apparente semplicità cui la fisica acustica ci abituati per il suono appena esaminato Dovremmo preventivamente ammettere Immanuel Kant5 che lo spazio, insieme al tempo, è un concetto aprioristico su cui si basa la sensibilità umana atta alla percezione dei fenomeni: esso non si costituisce solo quale struttura nata dal rapporto relativo tra gli oggetti che lo occupano, ma assume una caratura assoluta e unitaria Più semplicemente, in questa sede ci riferiremo allo spazio interno, come all’elemento delimitato dalle superfici architettoniche di un edifico o di una S Levarie, E Levy, Tone - A Study in Musical Acoustics, Kent State University Press, Kent, Ohio 1968 (seconda, edizione ampliata 1980), p Il sistema uditivo umano è particolarmente sensibile alle oscillazioni le cui frequenze siano comprese comprese fra i 16–20 Hz e i 20 kHz, e avverte come suoni soprattutto quelle onde sonore caratterizzate da una regolarità di oscillazione, altrimenti percepite come rumori S Levarie, E Levy, op cit., p Le traduzioni qui riportate sono tratte da quelle fornite da R Laneri nel suo interessante volume La voce dell’Arcobaleno Origini, tecniche e applicazioni del canto armonico, Ed Il Punto di Incontro, Vicenza 2002 Cfr I Kant, Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intellegibile, Rusconi Libri, Milano 1995; Id., Critica della ragion pura, a cura di P Chiodi, UTET, Torino 1967 stanza (o di un interno ipogeo!), connotato da un suo carattere di percorribilità, fruibilità, abitabilità e, non ultimo, di esteticità Forse lo studioso che più di ogni altro chiarito questo approccio interpretativo è Bruno Zevi, quando afferma: ”… Abbiamo detto che le quattro facciate di una casa, di una chiesa, di un palazzo, per belle che siano, non costituiscono che la scatola entro cui è racchiuso il gioiello architettonico La scatola può essere finemente lavorata, arditamente scolpita, gustosamente bucherellata, può essere un capolavoro, ma resta una scatola; esiste oggi l’imballaggio, una tecnica e un’arte di fare i pacchi, che si insegna nelle scuole industriali e di commercial design, ma nessuno mai pensato di confondere il valore della scatola col valore di quello che contiene In ogni edificio il contenente è la cassa muraria, il contenuto lo spazio interno.…” Accanto ad un carattere eminentemente fisico, però, lo spazio può assumere anche una caratura simbolica, riflettendo le contestualità storiche e antropologiche dell’epoca che ne progetta l’impiego e le forme In questo senso, appare chiarificatore – sia pure legato alla fenomenologia husserliana - l’approccio di Erwin Panofsky che nel suo celebre Die Perspektive als ‘symbolische Form’ (in “Vorträge der Bibliothek Warburg”, Teubner, Lipsia-Berlino 1927) teorizzava come ogni civiltà avesse delineato un suo modo di intendere lo spazio e di raffigurarlo, assecondando le indicazioni che proprio sulla natura dello spazio provenivano dalla filosofia, dalla religione, dalla fisica etc Dunque, secondo l’autore, non esisterebbe una solo idea di prospettiva, tanto in Occidente (ambito geografico a cui si limita il saggio in oggetto) quanto in Oriente (aggiungiamo noi), ma una pletora di immagini dello spazio, traduzioni sensibili, percepibili, di quelle contestualità Quindi, al di dei suoi connotati fisici, lo spazio è una categoria culturale sempre cangiante che diverse forme assume pure all’interno dello stesso contesto scientifico in cui alberga Infine la luce, una forma di energia, rivelabile dal nostro sistema visivo (ma non solo), e trasmissibile da un luogo ad un altro ad una velocità che, nel vuoto, si stima pari a 299.790 km/s La luce visibile costituisce solo una piccola parte di uno spettro che abbraccia tanto i raggi cosmici quanto le onde radio, e le cui leggi di propagazione, storicamente individuate in quella corpuscolare e in quella ondulatoria, sono state superate dall’elettro-dinamica quantistica (Q.E.D.) la cui attuale formalizzazione si deve al fisico Richard P Feymann Tuttavia risulta impossibile definire la luce senza parlare del suo doppio, l’ombra che ne connota la presenza nello spazio e nella nostra esperienza percettiva quotidiana: luce e ombra sono state oggetto di tremende elaborazioni, in termini sia fisici che dottrinali, anche se non spesso sono emersi i rapporti che legano la luce (e l’ombra) al suono Se da un lato è possibile identificare il termine a quo di questa liason, per l’Occidente, nella Parola di Dio da cui tutto il Creato origina, o, per l’Oriente, nella sillaba primigenia, o bija-mantra Oṁ, Óm e Aum, che fa la sua prima comparsa Upanişad B Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino 1951, pp 21-24 Trad it in Id., La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1961 Cfr Id., QED La strana teoria della luce e della materia, Adelphi, Milano 1989 In merito si veda M Bagella I suoni nascosti Per una poetica dei suoni armonici, in A De Rosa, a cura di, “Tra luce e ombra”, Il Poligrafo, Padova 2004, pp 275-280 vediche (IX-V secolo a.C.) 10, vi è da dire che il modo in cui a questa genesi è stata data veste figurativa, assume sempre i connotati di un dipanarsi di luce in un universo primigenio di tenebre, dunque d’ombra, di oscurità, di silenzio: “In principio Dio creò il cielo e la terra La terra era una massa informe e vuota e le tenebre erano sulla superficie dell’abisso”11 È inevitabile, per noi occidentali, associare il tema della luce e dell’ombra alla dialettica ultraterrena e secolare fra bene e male Il fiat lux biblico traduce acusticamente, poche sillabe che sono pura energia, l’operazione divina di messa in ordine all’interno di un universo caotico, di un “vuoto senza forme”12 E a tal fine è bastato a Dio, secondo il Genesi, creare un unico punto luminoso, in cui fossero concentrate tutte le forme che progressivamente si sarebbero irradiate da esso: una teoria sorprendentemente affine a quella post-einsteiniana del Big-Bang, secondo la quale l’intero universo è il prodotto di “quella singolarità iniziale dello spazio-tempo” 13 Già nel XIII secolo il maestro secolare della scuola francescana Robert Grosseteste (1175-1253) sosteneva, a commento dei succitati versetti del Genesi: “… ritengo che la forma prima e corporea, che alcuni chiamano corporeità, sia la luce la luce non è una forma posteriore alla corporeità, ma è la corporeità stessa.”14 Dunque la luce, nella sua fisicità, definita scientificamente nella visione ebraico-cattolica come esistente sin dalle origini dell’universo, si contrappone alle tenebre ‘informi e vuote’, viste cioè come negazione di un principio ontologico e non dotate di corporeità Tuttavia, Fredegisio di Tours sosteneva che “se il termine luce significa qualcosa, il termine notte non può non significare anch’esso qualcosa”15, dunque anche all’ombra spetta un’esistenza autonoma, e non solo in quanto negazione dell’essere Un’interpretazione ‘mancata’ dell’ombra tornava evidentemente utile all’idea manichea di luce come bene, e di oscurità come male e caos primordiale: così nella Scolastica medioevale la coppia antinomica luce/ombra si sommava a quella di suono/silenzio, in cui solo uno dei due poli “è dotato di effettiva esistenza, mentre l’altro non è che lo zero del primo”16 L’iconografia coeva e successiva si adeguò a questo principio che tendeva a non 10 Secondo Anne-Marie Esnoul (cfr ad vocem, Oṃ, in “Encyclopedia of Religion” vol 10 MacMillan, New York 2005, pag.6820) la sillaba sarebbe già presente in un inno del Ŗgveda (XV-XII secolo a.C.) 11 Cfr La Bibbia Concordata, voll., Mondadori, Milano 1968, II vol., p 23 12 G Giorello, Senza titolo, in “Sfera I” n°0, Aprile 1988, p 13 Ivi Sono molte le posizioni su cui convergono la Bibbia - come altri testi religiosi non occidentali - e la moderna cosmologia Se ne conferma anche nell’iconografia ebraico-cattolica medioevale, come ad esempio in una miniatura francese di un manoscritto pergamenaceo del 1250, ove è ritratto il Creatore la Sfera della Luce, nella mano sinistra, e quella delle Tenebre, nella destra Questo miscuglio di ombra e luce è ritenuto, dai moderni cosmologi, essere alla base della creazione, giacché si è convinti che esisteva, in origine, una mescolanza di particelle ad altissima temperatura: quelle dotate di massa costituivano la parte luminosa (fotoni di Higgs) di questo miscuglio primordiale, mentre quelli costituiti da quarks rappresentavano la parte, per così dire, in ombra 14 Cfr E Weber, La Lumière principe de l'univers, d'après Robert Grosseteste, in “Lumière et cosmos Courants occultes de la philosophie de la Nature”, Albin Michel, Parigi 1981, p 17 15 Cfr L Geymonat, I problemi del nulla e delle tenebre in Fredegisio di Tours, in AA.VV., “Saggi di filosofia neo-razionalistica”, Torino 1952 Fredegisio (o Fridegisio) di Tours, filosofo anglosassone (†834), allievo di Alcuino di York, insegnò alla Schola Palatina (800), succedendo nell’804 al maestro nella carica di abate di S Martino di Tours Il suo scritto fondamentale è Epistola de nihilo et tenebris 16 G Giorello, op cit., p 10 riconoscere una vera sostanzialità al fenomeno, avvertito solo come negativo; emblematico è il caso del pittore spagnolo Francisco de Holanda che, nel suo De Ỉtatibus Mundi Imagines (15451573), in cui illustra il Genesi 154 acquerelli, sostiene: “Quando Dio, pittore supremo, volle dipingere tutto ciò che noi vediamo sull’oscurità e sulle tenebre che coprivano la grande tavola del mondo, cominciò direttamente dal chiaro, ed è per questo che la chiarezza è più nobile dell’oscurità Questo è stato il primo gesto di Dio”17 La luce, così divinizzata, diventa progressivamente il simbolo dell’ordine, dell’ascesi mistica: le chiese paleocristiane sono illuminate a giorno nel loro interno da finestre spesso paragonate, dagli scrittori coevi, al cielo; l’imperatore di Bisanzio ascende al trono durante la cerimonia di investitura in una sinfonia suoni, ma soprattutto di luci e di splendore, sapientemente organizzati attraverso elaborate macchine scenografiche E gli esempi potrebbero continuare, ricordando tuttavia che questo afflato verso la luce, in ogni espressione della vita umana, è sempre stato accompagnato dalla sotterranea presenza del suo principio duale, spesso caricato di valenze negative Twitchell, nel suo celebre saggio sul Sublime, disserta su questa interdipendenza espressiva fra la luce e il suo doppio che “trascende i limiti esterni, allorché simultaneamente attraversa un confine di consapevolezza”18, riconoscendo pittori romantici il merito di averla sottolineata nei loro quadri attraverso la presenza ossessiva dell’orizzonte, “il luogo ove poteva allignare il soprannaturale”19 Se dovessimo rivolgere il nostro sguardo ad un artista contemporaneo che saputo interpretare, in modo profondo, inedito e partecipativo, questa doppia natura – luminosa e umbratile al contempo – da cui la percezione visiva umana sembra inevitabilmente irretita, accostandola al tema del suono – un suono ancestrale , archetipico, eco di cori siderali distanti eoni dalla nostra dimora terrestre - questi sarebbe il californiano James Turrell (Los Angeles 1943) Proprio per l’interesse continuo che Turrell manifestato, e ancora oggi manifesta, per l’unicità dell’esperienza percettiva del singolo osservatore/ascoltatore all’interno delle sue installazioni, la critica spesso sottolineato i possibili addentellati tra le sue opere e le teorie di alcuni influenti fenomenologi e psicologi della percezione, come Maurice Merleau-Ponty20 (1908-1961) e J.J Gibson21 (1904–1979) In particolare, al primo – cui è riconducibile un approccio interpretativo della realtà basato su una nozione di percezione anteriore a qualsiasi processo di oggettivazione scientifica – si deve l’idea dell’esperienza percettivo-visiva come una pressione esercitata dal mondo sensibile sullo sguardo, durante la quale il soggetto cede una parte, se non l’interezza del proprio corpo, in questo apparendo abbastanza prossima a quella turrelliana 17 Cfr F de Holanda, De Ỉtatibus Mundi Imagines, Madrid 1545-1573, Biblioteca National di Madrid Cfr J B Twitchell, Romantic Horizons: Aspects of Sublime in English Poetry and Painting 1770-1850, University of Missouri Press Weiskel, Columbia 1983 19 D Murray, Introduction/Architecture and its double, in “VIA” n°11, Rizzoli International, Philadelphia 1991, p 11 20 Cfr M Merleau-Ponty Fenomenologia della percezione, [ed orig 1945], Il Saggiatore, Milano, 1972 21 Cfr J.J Gibson, Per un approccio ecologico alla percezione visiva Introduzione a J.J Gibson, a cura di P Farneti, E Grossi, Milano 1995 18 “… dove il campo della visione inestricabilmente partecipa al vedersi, così che tu diventi parte di esso Voglio che tu veda il tuo vedere.” 22 Al centro della sua nozione di sistema percettivo, Merleau-Ponty colloca, com’è noto, il corpo veggente, in perenne connessione il mondo visibile, rispetto al quale è coinvolto in un continuo processo di adattamento, dove il percepire e l’essere percepiti si scambiano mutuamente: l’oggetto viene percepito dal soggetto osservante allorché esso si percepisce nell’osservatore Non v’è chi non veda echi delle esperienze offerte dalle installazioni di James Turrell in cui l’osservatore guarda uno spazio che, essendo metafora concreta dei processi visivi dell’osservatore medesimo, a sua volta esercita un’azione scopica L’installazione Space that sees (1992), uno skyspace costruito da Turrell nel giardino delle sculture dell’Israel Museum, presso Gerusalemme, ne è un’esemplificazione: il corpo fisico del fruitore stabilisce, attraverso i suoi sensi, un fitto dialogo esperienziale, basato sulla percezione, l’ambiente circostante; l’osservatore, così, si connota come inserito in un campo intersoggettivo, nel quale il suo corpo e quello dell’altro da sé sono un tutt’uno, rivelando che il significato della condizione umana, risiede solo nel proprio essere nel mondo La definizione di ‘architettura percettiva’, impiegata per questa ed altre opere di James Turrell, si incardina proprio sull’assunto che, per l’artista californiano, la percezione è il medium,23 ma sottolinea anche che non esiste distinzione di sorta tra percezione e comprensione, che solo il corpo “… è il luogo originale del risveglio della consapevolezza in cui l’essere che si relaziona il mondo costruisce originariamente se stesso sulla base della conoscenza percettiva Questa conoscenza pre-logica non deriva solamente dalla comprensione delle cose attraverso i sensi, ma anche dalla risonanza e dalle ripercussioni che essa produce in tutti i campi della soggettività, emotiva, fisica, intuitiva e così via.”24 Se dunque fenomenologia è ‘risvegliare l’esperienza del mondo’, un’esperienza che è antecedente alla conoscenza, l’opera di Turrell è affine a questo approccio non nel suo volere ricreare il mondo per pervenire alla sua conoscenza, bensì nella sua volontà di apprendere quali siano le connessioni sensoriali che ci legano a questo mondo Questa empatica relazione tra opera d’arte e osservatore è sottolineata anche da Merleau-Ponty, quando annota: “Qualità, luce, colore, profondità, che sono laggiù davanti a noi, sono soltanto perché risveglino un’eco nel nostro corpo, perché esso li accolga Questa è la formula carnale della loro presenza,[…] più che vedere il quadro, io vedo secondo il quadro o esso.” 25 22 C Farrow, Painting with light and space: interview with James Turrell, in “Art & Design”, vol nn.5/6, Maggio-Giugno 1993, p 46 Per una più dettagliata analisi dei legami fra l’opera di James Turrell e le teorie inerenti la psicologia della percezione visiva, si rimanda a: P Beveridge, Color Perception and the Art of James Turrell, in “Leonardo” vol 33, n° 4, 2000; C Adcock, Perceptual edges: the psychology of James Turrell’s light and space, in “Arts Magazine”, vol 59, Febbraio 1985 23 Cfr J Meuris, James Turrell, La perception est le medium, Bruxelles 1995 24 V Gonzalez, The Comares Hall in the Alhambra; Space that Sees by James Turrell, the Israel Museum Two Works, Two Worlds and One Theorem: Perception is the Medium, in “Muqarnas”, vol 20, 2003, p 254 25 M Merleau-Ponty, L'occhio e lo spirito, Milano 1989, p 20 Alcuni passi dei testi di Merleau-Ponty, pur se riferiti all’arte tradizionalmente pittorica, offrono, mutatis mutandis, notevoli chiavi interpretative dell’opera di Turrell: “La visione del pittore non è più sguardo su un di fuori, relazione meramente ‘fisico-ottica’ col mondo Anche per J.J Gibson l’osservatore ‘attivo’ intesse un fitto dialogo sensoriale l’ambiente ecologico che lo circonda, dialogo necessario per sviluppare un adattamento e opportune reazioni ad esso, senza che intervenga alcun complesso sistema di elaborazione 26 Tuttavia l’esegesi critica, o l’interpretazione superficiale di alcune installazioni turrelliane come costituite da ‘pure sensazioni cromatiche’ appare in contraddizione l’approccio ecologico alla visione di stampo gibsoniano, dal momento che in quest’ultimo contesto le sensazioni visive vengono assunte quali meri sintomi della stimolazione retinica Come osserva Patrick Beveridge, 27 all’interno delle installazioni di Turrell in cui è dato di assistere a processi di progressiva desaturazione del colore, spesso l’osservatore non attribuisce l’impermanenza delle qualità cromatiche del medium ad una nostra particolare risposta a proprietà dell’ambiente ecologico, ma piuttosto ad una proprietà specifica di quel contesto L’idea, etichettabile come naïve, che la percezione di una distinta apparenza fenomenica dipenda da caratteristiche qualitative del mezzo osservato, e non dal nostro sistema visivo, compare in molti saggi critici sull’opera di Turrell e si conforma anche all’assunto teorico secondo il quale l’osservatore, nelle installazioni dell’artista californiano, possa vedere “la luce come tale, piuttosto che come illuminazione riflessa dagli oggetti.” 28 E tuttavia, gran parte del potere mesmerico dei progetti di Turrell, risiede proprio nel creare spazi percettivi in cui si avverte la luce nella sua purezza, priva di struttura e non veicolante informazione alcuna, dunque senza immagine e fuoco, presupposti esattamente antitetici all’ottica ecologica gibsoniana Tuttavia, James Turrell, come ampiamente chiarito nei suoi scritti, attraverso il suo lavoro d’artista “preferisce porre domande piuttosto che trovare risposte… Penso inoltre che gli artisti siano più pratici degli scienziati, nel senso che quando i primi trovano qualcosa che funziona ed è utile loro fini, sono abbastanza disposti ad usarlo senza chiedersi necessariamente perché o come funzioni”29: le sue sono opere costituite da “pura visione, quasi puro pensiero Esse sembrano rendere visibili i processi mentali, la capacità di pensiero nell’organismo umano Visione e intelligenza sono fondamentalmente connessi nell’essere umano Le opere di Turrell si collocano proprio dove avviene questa connessione Esse hanno luogo presso i confini percettivi e quelli ecologici.”30 In tal senso, le opere dell’artista in cui più apertamente è possibile far esperienza di questo stato liminale della percezione sono quelle definite Ganzfeld Il mondo non è più davanti a lui per rappresentazione: è piuttosto il pittore che nasce nelle cose come per concentrazione e venuta a sé del visibile, e il quadro, infine, può rapportarsi a una qualsiasi cosa empirica solo a condizione di essere innanzitutto ‘autofigurativo’; può essere spettacolo di qualche cosa solo essendo ‘spettacolo di niente’, perforando la ‘pelle delle cose’ per mostrare come le cose si fanno cose, e il mondo mondo.” [Infra, p 49] 26 È interessante ricordare, in questa sede, come J.J.Gibson abbia desunto molte delle idee alla base della sua ecologia della percezione visiva dall’analisi sperimentale condotta sui comportamenti di piloti aerei che parteciparono ad operazioni militari durante la Seconda Guerra Mondiale 27 P Beveridge, Color perception and the Art of James Turrell, cit., p 305 28 Cfr C Adcock, a cura di, James Turrell, Tallahassee 1989, p 29 C Adcock, M Diacono, E C Krupp Blumarts, Mapping spaces: a topological survey of the work by James Turrell, New York 1987, s.i.p 30 C Adcock, Perceptual edges: the psychology of James Turrell’s light and space, cit., p 127 Il Ganzfeld,31 o ‘campo visivo totale’ consiste in uno spazio percettivo non strutturato, all’interno del quale è impossibile stabilire, per l’osservatore, alcun riferimento cardinale e dimensionale: l’effetto è raggiunto inondando le superfici di un ambiente, opportunamente trattate, luce omogenea A seconda della profondità dello spazio fisico, della tonalità e della saturazione cromatica, della scala dell’intensità luminosa impiegata, si percepirà uno spazio totalmente immerso in una indistinta luce colorata, quasi una sorta di nebbia o bruma scintillante, che continuamente sembra pararsi davanti agli occhi dell’osservatore: in esso risulta impossibile stimare forme, superfici, ombreggiature e distanze, apparendo solo un volume di colore quasi tangibile Il Ganzfeld può essere interpretato anche come uno stimolo completamente uniforme sull'intero campo visivo (‘campo percettivo nullo’), che ad alcuni individui può apparire di profondità infinita, oppure capace di indurre un’allucinazione ‘interna’, un’immagine priva di definizione e contenuto Questo fenomeno si associa spesso ad un’interruzione del senso della visione che gli psicologi della percezione definiscono come ‘cancellazione’, e che si verifica nel caso l’osservatore sosti in un Ganzfeld per più di dieci-venti minuti: la straniante sensazione provata è quella di non sapere riferire certezza se i propri occhi siano aperti o chiusi.32 L’aspetto sensorio del Ganzfeld che attrasse maggiormente Turrell sembra risiedere nel fatto che gli osservatori collocati in uno di questi spazi “…sono talvolta incapaci di discernere se ciò che stanno percependo è un fenomeno ottico-fisiologico, come ad esempio un campo cromatico retinicamente indotto, o un fenomeno visivo, come un campo omogeneo di luce colorata posto ad una certa distanza dai loro occhi In termini psicologici, diventa difficile per loro sapere se gli stimoli che sollecitano la loro rètina siano prossimali o distali Queste opere rendono gli osservatori particolarmente attenti allo stato di recettività e agli effetti di mascheratura cromatica apparentemente vicini all’occhio.”33 L’esperienza del Ganzfeld è comune agli astronauti allorché 31 Il fenomeno del Ganzfeld (tedesco per ‘campo totale’) fu studiato sistematicamente, per la prima volta, dallo psicologo tedesco Wolfgang Metzger (Heidelberg, 1899-Bebenhausen, 1979), e se ne può fare un’esperienza immediata, applicando sugli occhi delle palline da ping-pong gialle sezionate a metà “Dopo pochi minuti l’osservatore inizierà a percepire una nebbia acromatica (di aspetto filmare), e non più una superficie solida gialla Quando rimuovete le mezze palline da ping-pong gialle, dopo il completo adattamento cromatico, il mondo vi apparirà leggermente bluastro Questo è un effetto consecutivo cromatico Questo accade perché esiste una stretta relazione tra l'adattamento e gli effetti consecutivi: l'adattamento cromatico causa gli effetti consecutivi cromatici, che fanno comparire i colori complementari Comunque, non si tratta dello stesso fenomeno L'adattamento si riferisce all'abbassamento della sensibilità a un tipo di stimolazione, dopo prolungata esposizione allo stesso stimolo (o a stimoli simili) Gli effetti consecutivi implicano la tendenza verso una percezione ‘opposta’, particolarmente in risposta a stimoli neutrali, come lo sfondo bianco nel caso di adattamento cromatico Tuttavia, un simile espediente previene una percezione estensiva dello spazio ecologico in cui è immerso l’osservatore.” Cfr S.E Palmer, Vision Science: Photons to Phenomenology, Cambridge (Mass.) e Londra 1999 Una traduzione in italiano del testo di Palmer è disponibile in rete presso il sito del prof Massimiliano Versace (http://www.psiconet.net/versace/percezione.html) 32 Cfr L Avant, Vision in the Ganzfeld, in “Psychological Bulletin”, n°64, 1965, p 256 33 P Beveridge, Color perception and the Art of James Turrell, in “Leonardo” vol 33, n° 4, 2000, p 305 Le condizioni sincrone perché abbia luogo una percezione sono: l’esistenza di un dominio esterno al sistema percettivo che emetta o rifletta qualche tipo di energia (stimolo distale); la presenza di una forma energetica (di natura fisica, chimica, o meccanica) in grado di esercitare una risposta degli organi sensoriali di un soggetto percepente (lo stimolo sollecitante gli organi di senso si definisce prossimale); la capacità di un sistema di elaborare e di interpretare le modificazioni indotte dalle sollecitazioni energetiche sugli organi di senso (generando il percetto) Sugli aspetti psico-percettivi dell’opera di James Turrell si veda anche S Shimojo, Turrell and Visual Science: Perception as Unconscious Thought, pubblicato come supplemento a James Turrell, “Where does the light in our dreams come from?”, catalogo ufficiale della mostra itinerante in Giappone, 1997 fluttuano nello spazio siderale, ma anche piloti di aerei quando, ad esempio, dovendo atterrare su piste innevate, in particolari situazioni luministico-meteorologiche, alla ricerca di punti di riferimento, “…distinguono fenomeni cromatici soggettivi basati o meno sulle condizioni ambientali che appaiono essere proprietà delle regioni sensoriali del loro campo visivo Questi piloti normalmente non attribuirebbero il colore e la luminosità delle parti distanti del cielo ad un processo interno, poiché queste proprietà effettivamente appaiono essere ‘nello’ spazio esterno.” 34 Le ricerche sulle “soglie della percezione” costituirono, alla fine degli Sessanta, oltre che una moda sostenuta e diffusa dai movimenti di contestazione universitaria americana, attraverso il ricorso anche a sostanze stupefacenti di sintesi – come l’LSD (dietilamide-25 dell'acido lisergico) 35 –, anche uno strumento di suggestione creativa: in quella direzione devono rubricarsi le esperienze nella camera anecoica di John Cage e le sue silent compositions, così come gli all night concerts di Terry Riley,36 padre del minimalismo musicale californiano, durante i quali, singoli accordi ripetuti da uno strumento a tastiera e/o da un sassofono, in lenta evoluzione e slittamento tonale, davano luogo ad una sorta di ininterrotto drone, che, citando la struttura dei raga indiani, favoriva un ipnotico alternarsi di veglia e sonno negli ascoltatori, sottratti a qualunque convezione fruitiva statica e preordinata In questa temperie culturale di sperimentazione sugli ‘stati di coscienza’, 37 si inserisce il progetto elaborato da Irwin, Turrell e il dott Wortz che sviluppava il proprio concept spaziale attraverso una sequenza di tre ambienti interrelati: il primo, denominato queuing area,38 era una sorta di camera preparatoria in cui l’emissione di suoni a bassa frequenza e di luci attenuate predisponeva l’osservatore al distacco dal mondo esterno, favorendone una concentrazione sui propri processi visivi e uditivi interni, prossima ad uno stato meditativo Dopo aver sostato in questa anticamera per cinque/dieci minuti, si accedeva nel volume cubico della anechoic chamber, totalmente buio: il visitatore era invitato a sedersi su una poltrona, costituita da parti mobili, per ulteriori sei o quindici minuti, la testa reclinata, posta esattamente al centro della stanza Al principio dell’esperienza, all’interno di quest’ambiente, non dovevano essere indotti stimoli né luminosi né sonori, che invece si presentavano successivamente sotto forma di flashes progressivamente più intensi e prolungati, fino al punto in cui l’osservatore stesso non riusciva più a riconoscere il loro effetto allucinatorio rispetto alla realtà della percezione fisiologica Alla terza stanza, detta upper chamber, l’osservatore accedeva automaticamente allorché i meccanismi idraulici, interni alla seduta, si azionavano, distendendosi e disponendo il corpo del soggetto in posizione orizzontale L’ambiente, di forma cilindrica e sormontato da una cupola, si ipotizzava costruito materiali semi-traslucidi, simili al plexiglass, adatti ad accogliere retro-proiezioni: qui lo spettatore diveniva oggetto di alcune manipolazioni sonore e luminose, basate sull’effetto Ganzfeld Alla fine dell’esperienza, il fruitore, riassunta la sua posizione seduta, sarebbe ritornato nell’anechoic chamber, abbandonando il complesso attraverso un tunnel, progressivamente sempre meno isolato dal punto di vista acustico e luminoso Le ricerche condotte sulle deprivazioni sensoriali, la conseguente creazione di immaginari campi visivi e aurali, tuttavia indusse Turrell a una serie di riflessioni critiche circa l’intrinseca natura della sperimentazione, da 34 P Beveridge, Color perception and the Art of James Turrell, cit., p 305 Cfr A Hoffman, LSD Il mio bambino difficile, Roma 2005 T Leary, Il gran sacerdote Il libro più importante e rivoluzionario sull'LSD, Milano 2006; Id., L' esperienza psichedelica, Milano 1974 36 Cfr Keith Potter, Four Musical Minimalists: La Monte Young, Terry Riley, Steve Reich, Philip Glass (Music in the Twentieth Century), Cambridge (Mass.) 2006; R Schwartz, Minimalists, Londra 1996 37 Cfr A, Huxley, Le porte della percezione Paradiso e inferno, Milano 2002 38 Letteralmente ‘queuing’ significa ‘fare la coda’: nello specifico, si tratta di una sala d’attesa 35 un lato, a carattere scientifico e, dall’altro, artistica, che spesso si affidava ad approcci meno sistematici e più intuitivi, dichiarandosi infine contrario ad impiegare in modo pedissequo l’estetica scientifica nel proprio campo operativo, quello artistico appunto Come laconicamente ammise lo stesso Turrell, a differenza degli scienziati, noi artisti “siamo interessati risultati, non alle spiegazioni.”39 E i risultati non tardarono a mostrarsi nelle opere successive che l’artista californiano sviluppò nel suo studio ad Ocean Park, dove investigò l’interazione tra luce – naturale e artificiale – e spazi interni, e che diedero la stura a installazioni di maggiori dimensioni e ambizioni, qualche anno dopo Per circa sei anni l’artista lavorò nell’ex-Mendota Hotel convertendolo nel luogo ideale dove produrre le sue immagini di luce, in particolare i celebri Mendota Stoppages (1969-74), che si articolavano in una successione di esperienze visivoluministiche, durante l’arco dell’intera giornata, suddivisa in due sessioni temporali principali: il Night aspect, ripartito in dieci stadi notturni, durante i quali le luci provenienti dall’ambiente esterno allo studio venivano intercettate e veicolate al suo interno tramite degli stoppages, inseriti nelle finestre e opportunamente orientati La tremenda rielaborazione che le informazioni luminose subivano attraversando i mantici costituiti dalle aperture, condizionate dagli interventi architettonici di Turrell, rendeva assai difficile ricostruire, da parte dei fruitori, quali fossero le sorgenti che generavano le ambigue e fluttuanti immagini luminose che spazzavano le pareti interne del Mendota, immerse nell’oscurità Successivamente, l’artista si dedicò anche al ciclo di eventi correlato al Day aspect in cui le stesse aperture, già in uso durante il Night Aspect, davano vita a brillanti immagini pulsanti, create dalla luce solare – e sviluppantisi non solo durante l’intera giornata, ma anche durante l’intero anno –, che modificavano le qualità configurative degli ambienti percepite dai fruitori Il Mendota, trasformato dalla deprivazione della sua funzione originaria, secondo Georges Didi-Huberman divenne “…un puro santuario chiuso in se stesso, quasi non avesse altra funzione che agevolare il sonno e intrappolare i sogni”: 40 ed è proprio questo imprinting di claustrofobico isolamento che esalta il corpo veggente nella sua dimensione anche onirica Lasciatasi alla spalle la realtà ordinaria, il fruitore turrelliano, una volta superata la soglia dell’installazione, scancella i suoi movimenti secolari, le sue percezioni abituali scoprendo, paura ma anche una meraviglia che sconfina nel ringraziamento, che i suoi sensi sopiti possono accedere alla loro più pura funzione, non rivolta a registrare sensorialmente un oggetto, che ora cessa di esistere, bensì a farsi tutt’uno uno ‘spazio che guarda’ e i fenomeni fisici che tale spazio abitano I sogni cui allude Didi Huberman sono naturalmente i blank dreams, privi di contenuto alcuno: “puri schermi, pure virtualità che evocano ancora una vota il potere del chora”,41 un’idea di spazio assoluto che si connota senza alcun elemento fisico che configuri il suo interno, pura presenza, pura astanza, in cui gli elementi di confine diventano il vero luogo in cui luogo il vedere L’attrazione provata da Turrell per luoghi come le piramidi egizie o i bunkers della linea Maginot, risalenti alla II Guerra Mondiale, 42 deriva proprio da questo carattere liminare, trattandosi di spazi in cui o la luce irrompe solo in determinati periodi dell’anno – varcando un confine forzato e illuminando per pochi istanti il viso di una statua o un sarcofago –, o nei quali lo spettatore agisce un esplicito atto difensivo – guardando il mondo esterno attraverso feritoie che 39 James Turrell, citato in J Livingstone, Some thoughts on ‘Art & Technology’, in “Studio International”, n°181, Giugno 1971, p 134 40 G Didi-Huberman, The fable of place, in P Noever, a cura di, “James Turrell The other horizon”, Ostfildern-Ruit 1999, p 46 41 Ivi, p.47 42 Cfr P Virilio, Bunker Archéologie, Parigi 1975 implicano modalità fruitive in bilico fra paura e attività scopica L’esterno e l’interno si compenetrano e così l’osservatore si pone naturalmente sul limitare dei due spazi, proprio dove essi si incontrano, non abitando né l’uno né l’altro, in una condizione percettiva straniante Come acutamente osservato Theodore Wolff, l’opera di James Turrell “…può essere interpretata in diversi modi: come motivata sul piano estetico; come una dimostrazione accuratamente calcolata di certe leggi applicabili alla percezione e alla cognizione umana; come un processo demistificatorio teso a incrementare la consapevolezza del funzionamento della relazione tra l’uomo e il suo ambiente; come uno strumento per investigare stati mentali sottilmente trascendentali o metafisici”.43 Tuttavia, l’artista più volte negato qualunque esplicita finalità di natura simbolico-religiosa nelle sue opere, suggerendo che le sue frequentazioni Buddiste e la fede quacchera – abbracciata in giovane età, poi ripudiata e, da qualche decennio, felicemente ritrovata44 – sono state una fonte di ispirazione soprattutto per le modalità le quali l’esperienza della luce e della percezione si svolgevano in quei contesti Per Turrell la luce è e resta uno strumento che consente l’ampliamento dei propri confini percettivi: essa è priva di informazioni poiché essa stessa è l’informazione, in ciò parzialmente riecheggiando la celebre affermazione di Marshall McLuhan secondo la quale “il mezzo è il messaggio.”45 In perfetta risonanza questa azione riflessiva sull’atto del vedere sono alcune opere, di ambigua decifrazione da parte dei fruitori, che Turrell produsse, alla fine degli anni Ottanta, sfruttando, in maniera più intensiva e architettonica, i suoi studi sui Ganzfelds La più celebre è quella intitolata City of Arhirit, un’installazione di luce solare filtrata, realizzata presso lo Stedeliik Museum di Amsterdam nel 1976, in cui l’osservatore era costretto ad attraversare una sequenza di quattro stanze: ognuna di esse risultava di un colore differente poiché la luce che penetrava nei vari spazi interni rifletteva le informazioni luministico-cromatiche delle superfici – architettoniche o naturali – che circondavano il museo Così, la presenza di un edificio in mattoni, di un prato o di un cortile in pietra, all’esterno della installazione, generava altrettanti ambienti rispettivamente di colore rosso, verde o grigio-beige, attraversando i quali, però, l’osservatore non riusciva a mettere a fuoco nessun particolare, grazie al trattamento superficiale delle pareti interne, imbiancate e perfettamente lisce La sequenza di spazi assolveva allo scopo di miscelare l’afterimage46 43 T Wolff, Introduction, in “Occluded Front, James Turrell”, a cura di J Brown, Los Angeles 1985 Si veda in merito A Rech, James Turrell, Parigi 2005, p.10 e sgg 45 Cfr M McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, 1967 46 Una afterimage (post immagine, o immagine postuma) è un’illusione ottica che si produce dopo aver osservato direttamente un oggetto luminoso per un periodo di tempo prolungato Si correla al fenomeno percettivo definito persistenza della visione, impiegato ampiamente nell’animazione e nel cinema Una delle afterimages più comuni è la luminosità brillante che sembra fluttuare davanti agli occhi dopo aver fissato una sorgente radiante per qualche secondo Le afterimages si producono quando alcuni fotorecettori, segnatamente i coni, si adattano per effetto di una sovra-stimolazione perdendo sensibilità Normalmente l’occhio risolve questo problema producendo rapidi e minimi movimenti oculari, successivamente filtrati in modo tale che non risultino evidenti Tuttavia, se l’immagine colorata è abbastanza grande al punto che i piccoli movimenti non risultino sufficienti per cambiare il colore sotteso ad un’area della rètina, quei coni eventualmente risulteranno affaticati smettendo di rispondere agli stimoli Anche i bastoncelli possono essere interessati dallo stesso fenomeno Quando gli occhi sono distolti da uno spazio bianco, i fotorecettori stanchi inviano un segnale e quei colori restano muti Tuttavia, i coni circostanti che non erano stati eccitati da quel colore, sono ancora ‘freschi’, ed emettono un segnale forte Il segnale è esattamente lo stesso che si avrebbe guardando un colore complementare, e così il cervello interpreta lo stimolo Edward Hering (18341918) fornì un’interpretazione di come il cervello veda le afterimages, nei termini dei tre colori primari: per esempio, un’immagine verde produce una afterimage rossa Il colore verde stressa i fotorecettori verdi, così che essi producano un tenue segnale Qualsiasi cosa risulti di un verde più debole, è interpretato come del 44 cromatica della camera appena attraversata, il colore del nuovo ambiente in cui si entrava, sapendo che quel residuo retinico era destinato progressivamente a decadere: così, accedendo al primo Ganzfeld, sembrava che il colore ambientale (verde) tendesse ad affievolirsi – poiché è impossibile conservare l’informazione cromatica senza l’ausilio di forme che strutturino lo spazio –, l’occhio trattenendone solo una post immagine (afterimage) di colore rosa; passando nella stanza successiva, di colore rosso, il perdurare del residuo rosa creava un effetto di potenziamento del colore ambientale, sia pure per alcuni secondi, implementato dalla sensazione che qualcuno stesse regolando il livello di luminosità di ciascuno spazio Come osserva Patrick Beveridge, “Quando i visitatori attraversavano City of Arhirit, la consapevolezza che fossero immersi in una ‘nebbia’ di colore cominciava a venire meno allorché realizzavano che gli indizi prospettici nella stanza non era più visibili.”47 L’azione combinata di contrasti successivi e simultanei, durante il percorso, creava nell’osservatore un pericoloso senso di disequilibrio e di perdita dell’orientamento, al punto che alcuni visitatori finirono carponi, cercando la via di uscita dall’installazione A parziale soluzione del problema, dapprima fu tracciato un percorso pedonale ben visibile, e successivamente, il perdurare delle difficoltà di posizionamento, furono dipinti, vernice nera, due punti sulle pareti verticali e inserita una barriera orizzontale di vetro molto sottile, così da fornire un orizzonte artificiale visitatori Nel 1980 James Turrell venne querelato, insieme al Museo Whitney di New York che ne ospitava una mostra personale, da alcuni visitatori che avevano riportato alcune fratture, cadendo nel nuovo allestimento di City of Arhirit: da qui la decisione dell’artista di realizzare, da quel momento in poi, installazioni in cui fosse impossibile entrare, ma solo guardare al loro interno 48 “Il fatto che dei visitatori possano essere disorientati in spazi Ganzfelds lascia ancora perplesso Turrell a qualche livello, ma forse egli non si rende conto di quanto inusuale sia, per gran parte della gente, fare l’esperienza di un campo visivo totale In quanto artista, egli sa esattamente cosa aspettarsi, ma la maggior parte dei fruitori non mai fatto esperienza della luce se non come qualcosa che illumina gli oggetti La luce in quanto tale, la luce che non comporta strutture o informazioni è qualcosa di nuovo per tutti loro E, nonostante il fatto che le loro rètine siano totalmente stimolate vedendo una nebbia o una foschia luminosa, essi sono essenzialmente ciechi quando si trovano all’interno di uno spazio visivo di Turrell Non vedono niente, nessuna cosa è presente loro sensi, ad eccezione della bellezza della pura radiazione luminosa.”49 Per evitare che potessero prodursi inconvenienti analoghi a quelli occorsi visitatori di City of Arhirit, Turrell iniziò a ideare alcuni spazi architettonici isolati (Autonomous spaces), nei quali fosse esplicitamente dichiarata la funzione esperienziale legata fenomeni entottici Così, alla fine degli anni Ottanta, l’artista elabora una serie di modelli, mai tradotti in effettive costruzioni in scala reale, basati proprio sul principio di isolamento percettivo dell’osservatore all’interno di Ganzfelds cromatici e acustici Il più celebre è sicuramente Boullée Boola (1989) una struttura sferica all’interno della quale si accede attraverso una ripida scalinata, parzialmente esterna, la cui testata, incardinata al corpo sferico, funge anche da sportello basculante, grazie al quale l’interno risulta del tutto isolato dall’esterno Una volta dispostosi su una piattaforma centrale sopraelevata, suo colore primario complementare, cioè il rosso 47 P Beveridge, Color perception and the Art of James Turrell, cit., p 308 48 Cfr James Turrell, City of Arhirit, in P Noever, a cura di, “James Turrell The other horizon”, cit., p 124 49 C Adcock, James Turrell The art of light and space, , Berkeley Los Angeles Oxford 1990, p.140 l’osservatore rivolge il proprio sguardo, a 360°, verso lo spazio interno che ora si illumina, in modo uniforme, tramite sorgenti al neon nascoste, trasformandosi in un campo percettivo totale Le ambienze cromatiche sono previste in graduale mutamento, dal rosso acceso al verde-azzurro scuro, così da ingenerare nel sistema visivo del fruitore, dopo circa venti minuti, la percezione di essere immerso in un mare di luce, avvertendo la ‘penetrazione’ della luce nella propria testa: l’universo sensorio che si squaderna è allora, secondo la definizione fornitane da James Turrell, quello del vedere dietro gli occhi.50 “Anzitutto, sono molto interessato confini della percezione e a lavorare essi, cioè, l’organismo fisico, giocando i limiti assoluti di ciò che possiamo e non possiamo vedere, ma anche il dove i colori e la visione periferica entrino in gioco Secondariamente, sono interessato alle modalità di apprendimento di questi limiti Abbiamo imparato a percepire in modo estremamente univoco nella nostra cultura, e a differenza di altre culture, la nostra percezione è compromessa dal pregiudizio.”51 Questo processo di isolamento della luce, rescisso dall’esperienza percettiva comune, induce nel fruitore una nuova – e forse sopita – consapevolezza dei processi cognitivi che normalmente si danno per scontati Per Turrell questo risveglio sensoriale, per certi versi di natura gurdjeffiana, fa che all’osservatore sia concesso ‘di vedere l’atto stesso del vedere’: egli è così in bilico tra conoscenza razionale e intuizione, tra realtà tangibile e immaterialità onirica, costretto continuamente a valutare le proprie sovrastrutture culturali per poterle trascendere Per l’artista californiano risulta altresì importante accedere a questo stato pre-culturale della visione che, decontestualizzata, torna a un suo archetipico e funzionale ruolo, quasi tattile, grazie al quale, osservando la volta celeste dal catino di un cratere o sedendo in uno spazio quasi totalmente buio, sia una persona comune che un astronomo o un fisico possano provare qualcosa di simile allo stupore infantile.52 “L’esperienza rivelatrice sta nel rendersi conto di come stiano reagendo i nostri sensi, più che in ciò che si guarda Non è un caso che Turrell stesso abbia ripetutamente affermato che il suo scopo è quello di continuare a ricostruire la caverna del mito platonico, affinché il suo segreto venga continuamente svelato”.53 E una serie di caverne ‘risonanti’ costituisce proprio il 50 James Turrell progettato anche una serie di Perceptual Cells, caratterizzate dalle ridotte dimensioni e dalla loro trasportabilità, nelle quali l’osservatore è sottoposto ad analoghi processi di deprivazione e direzionamento sensoriale Queste strutture, dal chiaro appeal medicale, offrono ambienti totalmente neutrali, funzionali a ‘contenere la luce’ Le più piccole sono delle Telephone Booths in cui il visitatore può regolare l’intensità del suono e della luce all’interno di una cabina sormontata da una sfera sezionata in cui infila la testa, e dietro i bordi della quale sono posizionate delle sorgenti luminose blu e rosse (cfr., ad es., Close call, 1992; Call waiting, 1997) In quasi tutte le altre cells (ad es., Gassworks, 1993), l’esperienza avviene da sdraiati, per potersi abbandonare più liberamente e senza conseguenze all’effetto Ganzfeld Inoltre, trovandosi immersi tutto il corpo all’interno di una ‘sfera luminosa’, dovrebbero essere stimolate anche le zone epidermiche sensibili alla luce Le conseguenze si manifestano in stati percettivi alterati, simili a condizioni oniriche o allucinatorie Cfr P Noever, a cura di, James Turrell The other horizon, cit., p 142151 51 J Turrell citato in C Adcock, Perceptual edges: the psychology of James Turrell’s light and space, in “Arts Magazine”, vol 59, Febbraio 1985, p 125 52 Cfr E Zolla, Lo stupore infantile, Milano 1994 53 F Bergamo, Un altro orizzonte: il progetto dell’Irish Sky Garden di James Turrell, tesi di laurea (non pubblicata), Venezia 2005, p Si veda anche il saggio di I Rizzini (“Giungemmo sotto questa grotta coperta” (Empedocle, DK B 120) Immagini e suggestioni della caverna dal mondo greco antico) in A De nucleo spaziale-percettivo della sua opera più ambiziosa, un land-formed work dalle dimensioni paesaggistiche e dalle proporzioni esperienziali inusitate: il Roden Crater Project.54 L'ambizioso Roden Crater Project (Painted Desert, Arizona, 1970-in costruzione) un complesso di camere ipogee e di tunnels disposti all’interno di un cratere vulcanico estinto, in cui l'uso drammatico della luce si coniuga a complesse ricerche sulla percezione e la lettura/predizione dei fenomeni celesti, sembra mostrare che la sensibilità dell’artista californiano è oramai orientata allo sviluppo di un linguaggio sempre più prossimo all’architettura, 55 almeno nell’accezione ricavabile dalle dichiarazioni di poetica di un sommo architetto di luci e ombre come Étienne-Louis Boullée (1728-1799), quando affermava: "Ottenni infine un bagliore di speranza e intravidi che se vi era un mezzo per dare forma alle idee in cui ero penetrato, questo non poteva consistere che nel modo di introdurre la luce nel tempio È la luce che produce gli effetti Allora non pensai ad altro che a mettere in opera tutti i mezzi che mi offriva la natura Così mi dissi, e lo confesso una certa fierezza: la tua arte ti rende maestro di questi mezzi e anche tu avrai modo di dire fiat lux, e secondo la tua volontà il tempio sarà uno splendore di luce o non sarà altro che la dimora delle tenebre E presto non mi occupai altro che di architettura."56 Nel caso di James Turrell, però, si tratta di un’architettura che tende a rimuovere percettivamente il significante (le superfici che ne configurano la forma) per fare emergere il significato, il suo spazio interno, attraverso l’azione rivelatrice della luce e dell’ombra Forse da questa necessità funzionale, ma anche dal riduzionismo latente nel puritanesimo quacchero, discende l’appeal minimalista delle opere di Turrell che influenza, in modo apertamente riconosciuto, la poetica di architetti come Michael Gabellini, Steven Holl, Billie Tsien e Tod Williams 57 Così, alla domanda di Jeffery Hogrefe del perché egli, che non è un architetto professionista, eserciti un così grande fascino sulle nuove generazioni di progettisti, James Turrell serenamente risponde: “Sono uno al quale effettivamente piace vedere le proprie strutture costruite Il mio scopo è realizzare un’architettura fatta di luce e spazio Un’architettura topologica Questo non significa che non mi occupi di perimetrazioni e forma, bensì che voglio rendere più rilevante ciị che si situa nell’interstizio, come contrapposto a ciò che contribuisce a creare l’interstizio Si tratta di una architettura molto semplice Un’architettura di luce.”58 Rosa,a cura di, James Turrell Roden Crater Project Geometrie di luce, Milano 2007 54 Sulla complessa struttura dl progetto desertico si rimanda a A De Rosa,a cura di, James Turrell Roden Crater Project Geometrie di luce, cit 55 Già 15 anni fa, Adam Gopnik (in Id., Blue Skies, in “The New Yorker”, New York, 30 luglio 1992, pp 74-77) aveva anticipato la tendenza, da parte di Turrell, ad occuparsi di progetti sempre più architettonici, rilevando assonanze tra la sua produzione di spazi e quella di architetti californiani, come Richard Neutra, le cui case piene di vetrate, cercavano di raggiungere un equilibrio tra una luce avvolgente e la serenità degli interni.” 56 E L Boullée, Architettura Saggio sull'arte, a cura di A Rossi, Padova 1967, pp 85-86 Cfr J.-M Pérouse de Montclos, Etienne-Louis Boullée (1728-1799), Milano 1997 57 Sul carattere architettonico delle opere di James Turrell si rimanda a: T Riley, James Turrell An architect’s perspective, in AA VV., “James Turrell Spirit and light”, cit., pp 53-57 58 J Hogrefe, In pursuit of God’s light, in “Metropolis”, 20 (1), Agosto-Settembre p.83 Proprio questo 'concetto sottrattivo dell'architettura' informa e modella il grandioso progetto di riconfigurazione del Roden Crater, nel Painted Desert (Arizona) che James Turrell completerà nel prossimo decennio, ed al quale lavora da più di trent’anni L’intento del progettista è quello di trasformare un cono di ceneri estinto, generato da secoli di attività geologica, in un’opera d’arte a scala paesaggistica capace di intessere, per mezzo della luce, declinata in tutte le sue possibili manifestazioni fisiche e metafisiche, un fitto dialogo l’ambiente naturale che la circonda, sia a quota terrestre che celeste Per la progettazione vera e propria, Turrell si è avvalso della collaborazione di architetti ed ingegneri, che hanno garantito il rispetto di elevati standards esecutivi e normativi, mentre, per quanto riguarda l’orientazione cardinale e siderale dei singoli spazi, dell’aiuto di astronomi Pur essendo monumentale nelle dimensioni e inedito nella concezione, il Roden Crater project non nasce per commemorare eventi o ricorrenze storiche, ma vuole essere una sorta di tempio in cui si celebra la percezione umana nella unicità della sua esperienza: l’individuo che godrà del privilegio di entrare nel corpo sotterraneo del cratere, avrà modo di ridefinire non solo il proprio modo di percepire i fenomeni naturali, ma anche di commisurarsi la scala degli eventi celesti, in una perfetta e risonante corrispondenza tra microe macro-cosmo Il Roden Crater project è dunque la sintesi di anni di intenso lavoro per James Turrell, anzi di un’intera vita: qui infatti lo scopo manifesto dell’artista è quello di usufruire delle ricerche e delle idee che hanno ispirato le sue installazioni precedenti, proiettandole a scala paesaggistica in modo da poter godere delle qualità psico-percettive associabili alla luce naturale, diurna e notturna, e al moto apparente o reale dei corpi celesti La luce, vero cardine dell’intero progetto, penetrerà all’interno della superficie del cratere attraverso aperture e gallerie, opportunamente orientate e quasi invisibili dall’esterno: i vani sotterranei funzioneranno come mantici luminosi e camere oscure, gli specchi d’acqua ipetrali agiranno come lenti che magnificheranno gli effetti di riflessione della luce desertica, ed i lunghi tunnels come condotti ottici che decanteranno le immagini del Sole e della Luna, in particolari giorni dell’anno La forma degli ambienti, che configurano l’intero progetto, non è determinata da principi estetici, bensì dalla loro funzione principale: quella di accogliere, dirigere e conservare la luce Lo scopo dell’opera, secondo l’autore, è quello di incorporare una precisa sequenza di fenomeni atmosferici e celesti al suo interno e offrirli al sistema percettivo del visitatore: “Il mio desiderio è quello di predisporre un evento al quale condurre l’osservatore e lasciare che sia lui a vederlo Sto facendo questo al Roden Crater Non si tratta tanto di appropriarsi della natura, quanto di porre l’osservatore in contatto essa.” L’organizzazione spaziale e cardinale dei singoli ambienti, ma anche la struttura panoramica o ipogea dei percorsi che li collegheranno, agiranno in maniera interattiva: il paesaggio desertico sempre mutevole, grazie alle continue variazioni meteorologiche, offrirà infinite suggestioni percettive che inevitabilmente influenzeranno la fruizione degli spazi interni, predisponendo all’epifania di un silenzioso e remoto fenomeno celeste in un ambiente immerso nell’oscurità, o alla visione di fugaci luci occidue che modificano le dimensioni apparenti di una stanza Ma, naturalmente, il processo è reversibile, dall’interno all’esterno quando, abbandonando la materna ricettività delle camere interrate, si approderà in luoghi all’aperto dove lo sguardo sembrerà non raggiungere mai i suoi limiti massimi, e l’udito, dopo le fantasmagorie degli echi sotterranei e delle whispering galleries, si re-immergerà nel silenzio ‘frastornante’ del Painted Desert La dimensione sensoriale acustica non è secondaria all’interno dell’opera: sotto la regia attenta di Hiroshi Morimoto (Berkeley, California) il Cratere risuonerà non solo in consonanza gli spazi terrestri che lo circondano, ma soprattutto quelli celesti che abitiamo inconsapevolmente In particolare, nell’ambiente in costruzione chiamato Fumarole space, un oculo sommitale consentirà di inquadrare la regione celeste sovrastante, compresa in un angolo di 22°33’4”, a chi siederà nello sky bath: si tratta di una vasca in una lega bronzea un percentuale minima di silicone, ancorata al pavimento e caratterizzata da una superficie interna a doppia curvatura La sezione longitudinale mostra infatti un profilo semi-parabolico, il cui fuoco si collocherà esattamente in corrispondenza dell’estremo occidentale del diametro dell’oculo superiore La relazione tra la superficie paraboloidica del catino bronzeo e questo punto della struttura non è casuale, ma prevista attentamente da James Turrell, in modo che il sistema creato da questi elementi si configuri come un semi-telescopio Cassegrain: qui però, quelle raccolte dallo strumento non saranno tanto le informazioni fotoniche provenienti dagli oggetti celesti, bensì le relative onde radio La musica delle sfere sarà finalmente udibile dal visitatore quando questi si immergerà, fino alle orecchie, nell’acqua riscaldata contenuta nella vasca: il liquido, infatti, fungerà da cassa di risonanza per le informazioni acustiche captate da un apparecchio ricevente a cristalli di quarzo, collocato proprio nel punto focale di cui si diceva Nelle intenzioni di Turrell, i corpi celesti i cui segnali radio risuoneranno all’interno dello sky bath saranno, nell’ordine: il Sole; il pianeta Giove; la radiazione cosmica di fondo (abbreviata in CBR, da Cosmic Background Radiation); la via Lattea; il residuo della supernova nota come Nebulosa del Granchio (M1), posta nella costellazione del Toro; e infine β Cassiopeiae Naturalmente, i segnali emessi da questi oggetti celesti arriveranno sulla Terra in forma molto indebolita e confusa: per ovviare a questi problemi, James Turrell previsto che attorno al cratere saranno collocate quattro antenne riceventi, alla cui sommità verranno disposti poli opportunamente orientati per captare le informazioni radio solo da uno degli elementi siderali selezionati A tradurre i dati in segnali sonori sarà, come si diceva, un semplice crystal set (o crystal radio receiver), funzionante senza l’ausilio di pile, e in grado di ricevere trasmissioni in onde medie e corte da migliaia di chilometri di distanza L’acqua del catino svolgerà il ruolo solitamente affidato, in questo tipo di apparecchi riceventi, alle cuffie ad alta impedenza Il coinvolgimento corporeo del fruitore che, in pieno deserto, dovrà immergersi nella vasca, implicherà una sua partecipazione emotiva totalizzante: il tepore dell’acqua indurrà uno stato di rilassatezza muscolare, predisponendolo all’epifania dei suoni celesti che potrà avvenire, indifferentemente, di giorno o di notte Inoltre, Il Fumarole space, in qualità di radio-telescopio, potrà catturare e riprodurre anche i segnali sonori provenienti dall’ambiente ecologico circostante, come ad esempio, quelli generati dalle Grand Falls collocate a circa quattro miglia di distanza, verso est, lungo il percorso del Little Colorado River Proprio dalla constatazione dei lunghi tempi previsti per il completamento del Roden Crater project è nata l’idea, maturata nel 2002 presso l’Università Iuav di Venezia e da me coordinata scientificamente, di realizzare un modello digitale interattivo dell’intero complesso, grazie al quale fosse possibile descrivere e documentare criticamente – sia dal punto di vista figurativo che tecnico-scientifico – il ruolo che la luce, l’ombra e la lettura dei fenomeni celesti svolgono e svolgeranno nella definizione degli spazi architettonici progettati da James Turrell I risultati di questa ricerca, condotti attraverso uno stretto contatto tra l’équipe veneziana e l’artista californiano, hanno costituito il nucleo di una serie di mostre (Aula Gino Valle dell’Università IUAV di Venezia, ottobre 2007; Galleria e collezione Panza di Biumo, Varese, giugno-agosto 2008; Palazzo Riso, Museo d'Arte Contemporanea della Sicilia, Palermo luglio 2009; Museo Solomon R Guggenheim, New York 2011) e del relativo catalogo, in cui sono state (e saranno in futuro) esposte, oltre alle ricostruzioni digitali di ciascuna singola installazione, soprattutto gli inediti metodi combinatori dei così tanti saperi coinvolti nell’opera di Turrell, definendo i ruoli che il progetto e la sua rappresentazione geometrica giocano all’interno di ambienti che si situano al confine tra architettura tout-court, progettazione paesisticoambientale e archeo-astronomia Le ambiente sonore delle mostre sono state curate da un team di musicisti, provenienti dall’area dell’improvvisazione jazz e da quella della musica contemporanea ed elettro-acustica (Maria Pia De Vito, Maurizio Giri e Michele Rabbia), che hanno scritto e improvvisato la colonna sonora di un video digitale, prodotto da Imago rerum-Iuav, suggestivo dei futuri scenari - terrestri e celesti - visibili nel sito Come è facile desumere, la ricerca artistica di James Turrell nel Roden Crater project coinvolge molteplici discipline e interessi, ma ognuno di essi ruota intorno ad un centro immobile, costante e onnipresente: la percezione, soprattutto quella visiva, nel suo modo di strutturarsi e de-strutturarsi attraverso l’impiego controllato della luce, artificiale e naturale Come osservato Theodore Wolff l’opera di James Turrell ammette diversi livelli esegetici: “…come motivata sul piano estetico; come una dimostrazione accuratamente calcolata di certe leggi applicabili alla percezione e alla cognizione umana; come un processo demistificatorio teso a incrementare la consapevolezza del funzionamento della relazione tra l’uomo e il suo ambiente; come uno strumento per investigare stati mentali sottilmente trascendentali o metafisici” Nonostante Turrell non attribuisca, almeno in apparenza, alcun significato mistico-religioso alle sue creazioni artistiche, in esse è potentemente attivo l’archetipo della luce, riconducibile alle sue radici quacchere, e alle correlate pratiche del silenzio e dell’accoglienza della radiazione luminosa I suoi spazi fin dagli esordi, si servono di un vocabolario 'limitato' di elementi che si combinano a seconda delle esigenze del luogo o della funzione, nel rispetto di un rigorosa sobrietà di soluzioni formali e scelte materiche La grammatica formale di James Turrell è come fondata su una serie ristretta di segni la cui elasticità e la cui bellezza, isolate o derivate dalla reciproca combinazione, ne fanno una serie di 'concetti assoluti', prossimi alle scelte linguistiche di un importante architetto contemporaneo, Tadao Ando, il quale, fra l’altro, l’artista frequentemente collaborato Due elementi avvicinano decisamente il modo di Ando e di Turrell di impiegare la luce nelle loro realizzazioni: anzitutto l'idea che la luce possa sinesteticamente trasformarsi in materia quasi tangibile, odorabile, udibile Scrive Ando: "La luce dona un'esistenza agli oggetti in quanto tali e relaziona lo spazio alla forma Isolato in uno spazio architettonico, un raggio di luce indugia sulla superficie degli oggetti e evoca le ombre sul fondo Quando l'intensità della luce varia seguendo i cambiamenti temporali e stagionali, anche l'apparenza degli oggetti muta Ma la luce non diventa oggetto, né prende forma finché gli oggetti materiali non l'hanno accettata ed isolata" Per Turrell: " lavorando la luce, ciò che è veramente importante è creare una esperienza di pensiero senza parole, rendere la qualità e la sensazione della luce stessa in qualche modo realmente vicina al tatto Spesso la gente si sporge e cerca di toccarla." Il secondo aspetto che lega i due personaggi è l'interesse per il dissolvimento dei limiti spaziali: da un lato, James Turrell sperimentato la possibilità di colmare un ambiente o una foschia luminosa e colorata tale da essere difficilmente discriminabile il confine di un ambiente, o un'ombra tale che i contorni energetici dell'opera siano indistinguibili "dalla luce idioretinale prodotta nella rètina da una casuale scarica nervosa"; dall'altro, Tadao Ando sfrutta l'ombra per definire, all'interno dei suoi edifici, delle terre ignote i cui confini fisici, puramente accademici, sono scalzati dalla mobilità di fendenti luminosi che rivelano la natura più riposta e rituale di uno spazio Strumento teso ad ampliare i confini della percezione, ad implementare la conoscenza del mondo fenomenico, per James Turrell la luce non è veicolo di informazioni, poiché essa stessa, e di per se stessa, è informazione: "le mie opere non sono uno sguardo su qualcosa, bensì uno sguardo dentro qualcosa; non il posizionamento di una massa, ma l'intervenire nello spazio; non oggetti in una stanza, bensì la stanza Il formato non è costituito da cose all'interno di un ambiente, ma è l'ambiente stesso." Turrell crea, le sue installazioni luminose, volumi di luce e ombra che vengono percepiti come essenze fluttuanti, e l'osservatore è disorientato tra la consapevolezza della loro immaterialità e l'illusione che comunque esse costituiscano un'entità percepibile, talvolta più degli oggetti materiali "Più che essere incentrate sulla percezione (il che potrebbe ritenersi valido per l'arte minimalista o, complessivamente, per tutta l'arte), le immagini luminose di Turrell sono composte dalla percezione I suoi 'oggetti' sono luce e spazio, e sono così fondamentalmente integrati la percezione che sarebbe senza senso separare queste opere dalla psicologia e dai processi psicologici che esse disgelano." Sorge allora la domanda se sia lecito, nel caso di simili opere, l’uso dei tradizionali metodi della rappresentazione geometrica e della teoria delle ombre (anche attraverso i più sofisticati softwares di rendering digitale) per ricostruire i confini cangianti delle loro apparenze La risposta dovrebbe essere negativa; le opere di James Turrell indicano l’inadeguatezza dell'idea di una propagazione rettilinea della luce – e dunque dell’ombra –, e alludono invece al modello quantistico, oggi prevalente, che tuttavia non trovato ancora una coerente traduzione in termini info-grafici; ma soprattutto quelle opere suscitano in noi uno stimolo all’osservazione dei fenomeni umbratili del tutto analogo a quello provocato dai fenomeni luminosi, suggerendoci così di ridefinire in qualche modo le leggi della visione, e più in generale della percezione sensoria Forse il nostro occhio interiore, capace di leggere le stratificazioni secolari – fisiche e metafisiche – di un segno naturalmente iconografico come l’ombra, è stato abbagliato dal concetto manicheo di una rappresentazione che, illuminando ogni angolo del suo edificio teorico, risposto a necessità meramente razionali, a finalità tettoniche o meccaniche Così facendo probabilmente abbiamo smarrito uno dei valori aggiunti del disegno che la precisa descrizione delle ombre, in un soprassalto di hubris (tracotanza), tenta di fissare sulla carta o nella schermata di un monitor il moto eternamente cangiante del Sole Un altro artista però sta tentando di fornire una inedita rappresentazione del mondo ecologico che ci circonda attraverso suoni e luci, ma il suo mondo è distante dai deserti del west statunitense, immerso nel silenzio di una terra del crepuscolo (quasi) perenne, all’estremo nord del continente americano: il suo nome è John Luther Adams e il suo progetto si chiama The Place Where You Go To Listen Il compositore e ambientalista statunitense John Luther Adams (1953, Mississippi), attualmente residente a Fairbanks, nella regione centrale dell’Alaska, è stato allievo di Leonard Stein, James Tenney e Lou Harrison; profondamente influenzato da Henry Cowell, John Cage e Morton Feldman, Adams sempre interpretato la sua musica come linguaggio composto di ‘immagini acustiche’, anziché su di un processo discorsivo; che si tratti di musica elettronica, orchestrale, cameristica, o per ensemble di percussioni, il punto di partenza risiede sempre nell’impegno dedicato al trasformare in musica i patterns derivanti dall’osservazione – non soltanto visiva e acustica – del paesaggio artico in cui scelto di risiedere a partire dagli anni ‘70 Simmetrie, rapporti dinamici e armonici, micro- e macro-strutture, intonazioni dettate da logiche diverse da quelle del temperamento equabile, sono elementi che parlano tutti in via astratta dei processi della natura L’installazione che l’artista sta elaborando per la città di Venezia potrebbe essere la prima del progetto SILA: The Breath of The World, che “trasforma i dati delle condizioni climatiche e atmosferiche da tutta la Terra in musica e luce” Il modello di riferimento, unico esemplare al mondo finora realizzato e dunque prototipo per SILA, è la sua installazione The Place Where You Go To Listen, presso il Museum of the North di Fairbanks, in cui dati relativi all’ambiente naturale circostante vengono processati in real time da un software – costruito dal compositore e ingegnere del suono newyorkese Jim Altieri – che li trasforma in un sistema acustico (musica elettronica e acustica, diffusa da 14 altoparlanti opportunamente installati) e cromo-lumistico (led colorati che illuminano uno schermo composto di pannelli in vetro), paragonabile alle opere dell’artista James Turrell per quanto riguarda l’attenzione agli aspetti percettivi In questo caso specifico, tra i fattori ambientali associati alle trasformazioni dell’installazione vi sono: movimenti sismici (associati a frequenze molto basse, dunque percepibili soprattutto il senso del tatto); campo magnetico terrestre/aurore boreali (che attivano suoni di campanelli e ne controllano l’intonazione, basata su armonici proporzionali numeri primi da a 31); ciclo giorno/notte (un Day Choir e un Night Choir basati su un diverso utilizzo delle serie di armonici; la pressione acustica del primo inoltre ‘segue’ il reale andamento del sole all’esterno dell’edificio, in modo tale che si possa ‘ascoltare il sole’ dall’esatta direzione in cui esso si trova); il ciclo lunare (un glissando ciclico della durata di un mese) L’estensione complessiva è di oltre 10 ottave, e a distanza di mesi è possibile esperire una variazione del centro tonale medio di circa ottave Per gestire un sistema di informazioni così complesso, John Luther Adams potuto contare sulla collaborazione di un’equipe di esperti, tra i quali, ad esempio, il fisico Curt Szuberla, che realizzato un programma che calcola continuamente la posizione del sole e della luna, ed il sismologo Roger Hansen, che si è occupato dei dati sismici che confluiscono da cinque stazioni attorno a Fairbanks, in tempo reale Sulla base di questa installazione, l’artista statunitense progettato un suo spin off italiano,Sila appunto, in fase di ingegnerizzazione a cura dell’Università Iuav di Venezia La fase attuale del progetto prevede la compilazione di un catalogo dei dati resi disponibili dagli istituti di ricerca e dalle aziende che monitorano in tempo reale le condizioni dell’ambiente lagunare Tra essi sono selezionati, la partecipazione dell’artista, quelli considerati più rappresentativi dell’ambiente nella sua complessità: andamento delle maree (a sua volta in relazione al diagramma del ciclo lunare e alle condizioni atmosferiche e meteorologiche), correnti, moto ondoso, condizioni di illuminazione e posizione del sole (ciclo giorno-notte), presenza e concentrazione di microrganismi e di agenti inquinanti particolarmente significativi, e così via Tra i fattori meteorologici sono di fondamentale importanza il vento, la cui direzione è determinante per provocare accumuli di masse d’acqua, e la pressione atmosferica Tra i venti, lo Scirocco soffia da sud-est e la Bora, intensità a volte superiore, da nord-est Nel caso di alta pressione e venti da nord-ovest, ad esempio, il livello dell'acqua in laguna può ridursi a tal punto che i rii di Venezia rimangono in secca All’opposto, per “acqua alta” si intende il fenomeno per il quale il livello del mare supera il valore medio di +80 cm sul livello di riferimento; nell’ultimo secolo a Venezia la variazione dovuta alla subsidenza (sprofondamento del suolo per cause naturali ed antropiche) è stata di circa 14 cm, mentre la variazione dovuta all’eustatismo (innalzamento del livello del mare) è stata di circa cm Complessivamente, quindi il livello medio del mare si è alzato di 23 cm Le maree vengono così classificate: - marea normale: livelli inferiori a 80 cm l.m.m - marea sostenuta: livelli compresi tra 80 cm e 110 cm l.m.m - marea molto sostenuta: livelli compresi tra 110 cm e 140 cm l.m.m - marea eccezionale: livelli superiori 140 cm l.m.m Appena al di sopra di +80 cm, i problemi di trasporto e di viabilità pedonale emergono nei punti più bassi della città (Piazza San Marco) mentre, quando la marea supera i +110 cm, il fenomeno inizia ad interessare molti tratti cittadini; a quota +110 cm, circa l’11% della città è interessato dagli allagamenti, e quando si raggiungono i +140 cm è allagato il 90% della città Tra i modelli cui fare riferimento vi è, ad esempio, quello dell’Institute for the Studies of the Dynamics of the Large Masses di Venezia, che proposto la modellazione tridimensionale fisico-biochimica del sistema accoppiato Laguna di Venezia-Mare Adriatico Il modello idrodinamico, associato ad un modello di circolazione a scala di bacino avente griglia di 9.6 Km di lato, consente di simulare su di una griglia regolare di 1.2 Km di lato l'evoluzione dell'elevazione del mare e dei campi di velocità, temperatura, salinità e densità derivanti da diverse forzanti, quali maree, vento, flussi termici ed evaporativi Inoltre, su di esso è implementato un modello biochimico che simula l'evoluzione dei campi di azoto totale inorganico, fitoplancton ed ossigeno disciolto Le variabili di stato interagiscono tra loro tramite funzioni limitative dipendenti dalla temperatura, dalla concentrazione di nutrienti e dalla forzante luminosa esterna, avente andamento orario Il Dipartimento di Oceanografia di Trieste, in relazione al flusso delle acque in Laguna di Venezia, calcola in tempo reale, attraverso specifiche apparecchiature che trasmettono i dati ad un elaboratore software sviluppato dall’ OGS, la corrente media lungo la verticale ed il relativo flusso Tali parametri vengono poi rappresentati per mezzo di un grafico settimanale aggiornato quotidianamente È stata stabilita una relazione lineare tra il flusso totale di acqua attraverso la bocca e la corrente assiale (componente parallela all'asse del canale) mediata su tutta la colonna d'acqua Tale relazione è stata calcolata misurando il flusso di acqua mediante un ADCP installato su un natante in movimento e, contemporaneamente, effettuando le misure di corrente l’ADCP posizionato sul fondo Sempre il medesimo dipartimento, nel quadro dei programmi di ricerca condotti dal CORILA, installato sistemi di radar in alta frequenza lungo il litorale, che sono stati usati per la sorveglianza a lunga scadenza delle correnti superficiali di fronte alle bocche di laguna Le due stazioni, sull’isola del Lido e di Pellestrina, hanno fornito una serie temporale di dati radiali, che sono stati confrontati i vettori di corrente alla risoluzione di 750 m nel periodo 2001-2002 La terza antenna è stata installata sulla Piattaforma Oceanografica del CNR Il complesso network di informazioni, proveniente da questi ed altri centri di ricerca, sarà contestualizzato in un modello info-grafico digitale della laguna veneta (in fase di elaborazione), per comprenderne i meccanismi e le possibilità, nonché per avere a disposizione un diagramma agevolmente consultabile in cui siano indicizzate le posizioni relative e l’eventuale attivazione nel tempo di tutti i “sensori” presenti in laguna Il modello sarà costruito sulla base di quello già esistente realizzato dal CIRCE (Centro di Servizi Interdipartimentali di Rilievo, Cartografia ed Elaborazione, dello IUAV) Una volta individuata una sede adatta ad ospitare l’installazione, si procederà parallelamente alla costruzione di un modello digitale tridimensionale di essa, basato sul rilievo Su tale modello si effettueranno delle simulazioni che consentiranno di comunicare, ma specialmente di verificare, la forma, il funzionamento e le variazioni cromo-lumistiche – e, per quanto possibile, anche quelle acustiche – dell’installazione La tecnologia e i materiali illuminotecnici necessari saranno messi a disposizione da aziende all’avanguardia nel settore L’intonazione definitiva dei sistemi acustico e cromoluministico dovrà necessariamente avvenire nell’ambiente costruito, data l’impossibilità di verificarne le esatte qualità percettive (acustiche, visive e tattili) in un modello digitale, tuttavia è lecito formulare previsioni e approssimazioni attraverso gli strumenti che provengono da ambiti disciplinari quali architettura, scienze dell’informazione, psicologia e fenomenologia della percezione, acustica e psicoacustica, scienze della visione Il prodotto finale è dunque un’opera d’arte sotto forma di ambiente visitabile, informato da (e informante di) quei mutamenti ambientali che interessano tanto gli istituti di ricerca, monitoraggio e salvaguardia, quanto la stessa popolazione veneziana, e quella turistica La frequentazione di questo spazio, sia occasionale che assidua, può essere per il fruitore un’opportunità per rilassarsi e trascorre del tempo in un luogo stimolante ed accogliente, ed insieme uno strumento per comprendere più a fondo le complesse dinamiche dell’ecosistema lagunare veneziano, incluse quelle altrimenti non rilevabili attraverso il sistema sensoriale di cui siamo dotati I frequentatori più attenti e interessati potranno ricercare il sistema di relazioni intessute tra Venezia e questo suo modello, fonte di sorprese inesauribili quanto la natura è imprevedibile La realizzazione di questo sistema comunicativo (interattivo nella misura in cui l’uomo interagisce l’ambiente lagunare, che si rispecchia nell’ambiente dell’installazione) potrebbe a sua volta costituire il modello di un analogo ‘prodotto’ adatto protocolli web, e che quindi, in una forma semplificata e adattata Personal Computers domestici, potrebbe implementare siti web esistenti e dedicati al monitoraggio e alla salvaguardia dell’ambiente lagunare A differenza di molte altre installazioni ambientali e artistiche che già hanno interessato Venezia, non si tratta qui soltanto di interpretare la città attraverso suggestioni e percezioni sensoriali, poiché, pur essendo il risultato finale cui si aspira un prodotto artistico ‘multimediale e multisensoriale’, esso deriva da processi e dati scientificamente rilevati e costruiti Bibliografia di riferimento Adams, John Luther, The Place Where You Go to Listen: In Search of an Ecology of Music, Wesleyan University press, Middletown, CT, 2009 Adams, John Luther, Winter Music: Composing the North, Wesleyan University press, Middletown, CT, 2004 Adcock, C., Diacono, M., Krupp Blumarts, E C., Mapping spaces: a topological survey of the work by James Turrell, New York 1987 Adcock, C., James Turrell The art of light and space, , Berkeley Los Angeles Oxford 1990, p.140 Adcock, C., Perceptual edges: the psychology of James Turrell’s light and space, in “Arts Magazine”, vol 59, Febbraio 1985 Adcock, C., Perceptual edges: the psychology of James Turrell’s light and space, in “Arts Magazine”, vol 59, Febbraio 1985 Attali, J., Noise: the political economy of music Minneapolis: University of Minnesota Press, 1985 Augoyard, J F., McCartney, A., et al., Sonic experience: a guide to everyday sounds Montreal, Ithaca: McGill-Queen’s University Press, 2006 Avant, L., Vision in the Ganzfeld, in “Psychological Bulletin”, n°64, 1965, p 256 Bagella, M., I suoni nascosti Per una poetica dei suoni armonici, in A De Rosa, a cura di, “Tra luce e ombra”, Il Poligrafo, Padova 2004, pp 275-280 Beveridge, P., Color Perception and the Art of James Turrell, in “Leonardo” vol 33, n° 4, 2000 Blesser, B and Salter, L-R., Spaces speak, are you listening? experiencing aural architecture Cambridge, Mass.: MIT Press, 2007 De Rosa, A Geometrie dell’ombra Storia e simbolismo della teoria delle ombre, Città Studi ed., Milano 1997 De Rosa, A., a cura di, James Turrell Roden Crater Project Geometrie di luce, Electa, Milano 2007 Faber, M., A voce nuda, Einaudi, Torino 2005 (ed orig., The Courage Consort, Harvest Books, Fort Washington 2005) Feynman, R E., QED La strana teoria della luce e della materia, Adelphi, Milano 1989 Geymonat, L., I problemi del nulla e delle tenebre in Fredegisio di Tours, in AA.VV., “Saggi di filosofia neo-razionalistica”, Torino 1952 Gibson, J.J., Per un approccio ecologico alla percezione visiva Introduzione a J.J Gibson, a cura di P Farneti, E Grossi, Milano 1995 Herzogenrath, B., a cura di, The Farthest Place: The Music of John Luther Adams, Northeastern press., New England 2012 Hoffman, A., LSD Il mio bambino difficile, Roma 2005 Huxley, A., Le porte della percezione Paradiso e inferno, Milano 2002 Kahn, D., Noise, water, meat: a history of sound in the arts Cambridge, Mass.: MIT Press, 1999 LaBelle, B., Background noise: perspectives on sound art New York: Continuum International, 2006 Laneri, R., La voce dell’Arcobaleno Origini, tecniche e applicazioni del canto armonico, Ed Il Punto di Incontro, Vicenza 2002 Leary, T., Il gran sacerdote Il libro più importante e rivoluzionario sull'LSD, Milano 2006; Id., L' esperienza psichedelica, Milano 1974 Levarie, S., Levy, E., Tone - A Study in Musical Acoustics, Kent State University Press, Kent, Ohio 1968 (seconda, edizione ampliata 1980) Lutz, J., Thinking Outside the [Music] Box: Collaborations between Composers and Architects Changing Territories, New Cartographies: Proceedings of the 2004 Northeast Regional ACSA Conference, October 2004, pp 313-323, 2004 Martin, E., Pamphlet Architecture 16: Architecture as a translation of music New York: Princeton Architectural Press, 1994 Mc Luhan, M., Gli strumenti del comunicare, Milano, 1967 McLuhan, M., Inside the Five Sense Sensorium Canadian Architect, Vol 6, No.6, pp 49-54, 1961 Merleau-Ponty, M., C Smith, et al., Phenomenology of perception London; New York: Routledge, 2002 (Original work published 1945) Merleau-Ponty, M., Fenomenologia della percezione, [ed orig 1945], Il Saggiatore, Milano, 1972 Meuris, J., James Turrell, La perception est le medium, Bruxelles 1995 Murray, D., Introduction/Architecture and its double, in “VIA” n°11, Rizzoli International, Philadelphia 1991 Noever, P., a cura di, James Turrell The other horizon, Ostfildern-Ruit 1999 Pallasmaa, J.,The eyes of the skin: architecture and the senses Chichester, Hoboken, NJ: WileyAcademy; John Wiley & Sons, 2005 Panofsky, E., La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1961 Petrilli, A., Acustica e architettura: spazio, suono, armonia in Le Corbusier Venezia: Marsilio, 2001 Potter, K., Four Musical Minimalists: La Monte Young, Terry Riley, Steve Reich, Philip Glass (Music in the Twentieth Century), Cambridge (Mass.) 2006: Rech, A., a cura di, James Turrell, Parigi 2005 Ripley, C Polo, M e Wrigglesworth, A., In the Place of Sound: Architecture | Music | Acoustics, Cambridge Scholars Publishing, Newcastle 2007 Schafer, R M., The soundscape: our sonic environment and the tuning of the world Rochester, Vermont: Destiny Books, 1994 (Originally published 1977) Schwartz, R., Minimalists, Londra 1996 Sheridan, T and Van Lengen, K., Hearing Architecture: Exploring and Designing the Aural Environment Journal of Architectural Education 57(2): 37-44, 2003 Thompson, E A., The soundscape of modernity: architectural acoustics and the culture of listening in America, 1900-1933 Cambridge, Mass.: MIT Press, 2002 Twitchell, J B., Romantic Horizons: Aspects of Sublime in English Poetry and Painting 1770-1850, University of Missouri Press Weiskel, Columbia 1983 Weber, E., La Lumière principe de l'univers, d'après Robert Grosseteste, in “Lumière et cosmos Courants occultes de la philosophie de la Nature”, Albin Michel, Parigi 1981 Zevi, B., Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino 1951 Zolla, E., Lo stupore infantile, Adelphi, Milano 1994 Sitografia Su John Luther Adams e The Place Where You Go To Listen: http://www.johnlutheradams.com/ Su James Turrell e il Roden Crater project: http://rodencrater.com/ http://www2.iuav.it/dpa/video.html ... luce naturale, diurna e notturna, e al moto apparente o reale dei corpi celesti La luce, vero cardine dell’intero progetto, penetrerà all’interno della superficie del cratere attraverso aperture... ad esempio in una miniatura francese di un manoscritto pergamenaceo del 1250, ove è ritratto il Creatore la Sfera della Luce, nella mano sinistra, e quella delle Tenebre, nella destra Questo... alle idee in cui ero penetrato, questo non poteva consistere che nel modo di introdurre la luce nel tempio È la luce che produce gli effetti Allora non pensai ad altro che a mettere in opera

Ngày đăng: 18/10/2022, 16:24

w