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Capitale umano, capitale sociale e crescita una prospettiva regionale.

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Thông tin cơ bản

Tiêu đề Capitale Umano, Capitale Sociale E Crescita: Una Prospettiva Regionale
Tác giả Eliana Baici, Giorgia Casalone
Trường học Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”
Chuyên ngành Scienze Economiche e Metodi Quantitativi
Thể loại thesis
Năm xuất bản 2004
Thành phố Novara
Định dạng
Số trang 37
Dung lượng 1,25 MB

Nội dung

Capitale umano, capitale sociale e crescita: una prospettiva regionale Eliana Baici e Giorgia Casalone Dipartimento di Scienze Economiche e Metodi Quantitativi “SEMEQ” Università del Piemonte Orientale “A Avogadro” Via Perrone, 18 28100 Novara baici@eco.unipmn.it casalone@eco.unipmn.it Settembre 2004 Questo lavoro si propone di analizzare l’impatto del capitale umano e sociale sulla crescita a livello regionale in Italia L’interesse per una prospettiva regionale in questo ambito deriva dal fatto che essa consente di sfruttare allo stesso tempo l’ampia variabilità dei sentieri di crescita delle diverse aree e la comparabilità delle informazioni su capitale umano e sociale che risulta invece ridotta nelle analisi tra paesi Mentre l’impatto del capitale umano sulla crescita è stato almeno in parte oggetto di analisi in un significativo numero di lavori, la relazione tra capitale sociale e crescita a livello regionale è ancora inesplorata anche per la mancanza di una misura di capitale sociale capace di cogliere appieno le numerose sfaccettature del fenomeno Utilizzando, oltre alle consuete proxy del capitale umano, alcune misure che dovrebbero cogliere la qualità del capitale umano e la sua interrelazione il settore dell’attività di R&S e le proxy del capitale sociale che sono emerse dall’ampia letteratura soprattutto sociologica sul tema, si cercherà di fornire un nuovo contributo alla spiegazione della crescita delle regioni nel periodo 1980-2001 La scelta di un approccio panel, del resto ormai prevalente nella letteratura sulla crescita, consente di tener conto della variabilità temporale e di controllare per variabili omesse specifiche delle singole regioni, persistenti nel tempo JEL: J24, Z13, R11, C23 Il lavoro è stato realizzato come contributo al progetto Ricerca d’Eccellenza, n 21302BAIPSE, finanziato dalla Regione Piemonte INTRODUZIONE Negli ultimi anni si osserva una crescente attenzione verso una definizione allo stesso tempo più ampia e più precisa del concetto di capitale nell’ambito delle teorie della crescita Se nelle teorie tradizionali i principali fattori di crescita sono rappresentati dal capitale fisico e dal lavoro, a partire dal pioneristico contributo di Solow (1957) la nozione di capitale umano giocato un ruolo preminente Negli anni Novanta, poi, una definizione ancora più ampia di capitale è stata introdotta nella letteratura della crescita in seguito all’analisi di Putnam e al (1993) del cosiddetto “capitale sociale” applicata alle regioni italiane A differenza del concetto di capitale fisico, relativamente semplice da definire, le nozioni di capitale umano e sociale sono più complesse e controverse Sintetizzando le numerose definizioni apparse nella letteratura, il capitale umano può essere definito come quell’insieme di caratteristiche individuali quali il livello e la qualità dell’istruzione, le capacità naturali, i talenti e le esperienze che, almeno in parte, sono il frutto di un investimento individuale e che sono rilevanti per l’attività economica La nozione di capitale sociale si presenta anche più problematica e questo, probabilmente, contribuisce a spiegare un utilizzo spesso superficiale del concetto Sintetizzando i significati che emergono dall’ampia letteratura soprattutto di carattere sociologico sul tema, il capitale sociale può essere rappresentato dalla fiducia, dai valori condivisi e da quell’insieme di relazioni, norme e istituzioni che facilitano le relazioni economiche riducendone anche i costi Nel seguito si cercherà di chiarire i principali punti di vista emersi finora nella letteratura In particolare questo lavoro si propone di analizzare l’impatto del capitale umano e sociale sulla crescita a livello regionale in Italia L’interesse per una prospettiva regionale in quest’ambito deriva dal fatto che essa consente di sfruttare allo stesso tempo la variabilità dei sentieri di crescita delle diverse aree e la comparabilità delle informazioni su capitale umano e sociale che risulta invece ridotta nelle analisi tra paesi Utilizzando, oltre alle consuete proxy del capitale umano, alcune misure che dovrebbero cogliere la qualità del capitale umano e la sua interrelazione l’attività di R&S e una seppur limitata serie di indicatori di capitale sociale, si cercherà di fornire un nuovo contributo alla spiegazione della crescita delle regioni italiane per il periodo 1980-2001 Il lavoro è così strutturato Nei paragrafi e si cerca di mettere in luce i principali problemi metodologici derivanti dalla relazione tra capitale umano, capitale sociale e crescita economica Il paragrafo contiene una rassegna dei più rilevanti risultati della letteratura empirica sul rapporto tra capitale umano, capitale sociale e crescita Nel paragrafo viene presentata una breve analisi descrittiva dei dati utilizzati Dopo aver esposto la metodologia uutilizzanta (par.6), nel par.7 si presentano infine i principali risultati ottenuti nelle stime econometriche CAPITALE UMANO E CRESCITA: QUESTIONI TEORICHE ED EMPIRICHE Il concetto di capitale umano entra implicitamente nella funzione di produzione utilizzata da Solow (1957) come uno dei fattori che determinano (insieme alle risorse impiegate nell’attività di R&S) il “progresso tecnologico” (o “conoscenza” o “efficacia del lavoro”) che rappresenta, in ultima istanza, il solo fattore di crescita di lungo periodo L’introduzione esplicita del capitale umano nella funzione di produzione, che è alla base dell’estensione apportata al modello di Solow da Mankiw Romer e Weil (1992), consente di tener conto del ruolo della conoscenza “incorporata” nei lavoratori Tuttavia essa, così come il capitale fisico, continua ad esercitare un effetto positivo sulla crescita solo nelle fasi di transizione, mentre la crescita di lungo periodo resta determinata da fattori esogeni L’inadeguatezza teorica dei risultati derivanti dal modello di base di Solow (1957) e dalla sua estensione che imputano, di fatto, la crescita a fattori extraeconomici non osservabili e i controversi risultati empirici relativi alla questione della convergenza (diretta conseguenza delle ipotesi sui rendimenti decrescenti dei fattori produttivi), hanno rappresentato un forte stimolo ad un’analisi più approfondita del fenomeno della crescita Le cd “teorie della crescita endogena”, sviluppatesi a partire dalla metà degli anni Ottanta, abbandonando le ipotesi di rendimenti decrescenti dei fattori e di rendimenti di scala costanti, hanno mostrato come la crescita economica dipenda da una positiva interazione tra conoscenze, talenti e capacità innovativa Il capitale umano, grazie alle esternalità positive e rendimenti crescenti ad esso correlati (Lucas, 1988), ovvero grazie alla positiva interazione la capacità innovativa ed il progresso tecnologico (Romer 1986, 1990 e 1994) diventa esso stesso, in questo approccio metodologico, un fattore di crescita di lungo periodo Tuttavia, mentre nell’approccio alla Lucas viene sottolineato il ruolo dell’investimento continuo in capitale umano quale motore della crescita, nell’approccio alla Romer è piuttosto lo stock di capitale umano ad influenzare positivamente lo sviluppo in quanto il ruolo principale è sempre quello giocato dal progresso tecnico Inoltre, mentre in Lucas la nozione di capitale umano impiegata sembra rappresentare genericamente l’istruzione o la conoscenza diffusa, per Romer il capitale umano che un impatto positivo sulla crescita è solamente quello impiegato nell’attività di Ricerca e Sviluppo: Romer sembra dunque superare il concetto di “qualità del lavoro”, rappresentato genericamente dal capitale umano, per introdurre il concetto di “qualità del capitale umano” strettamente legato all’impiego del capitale umano stesso Anche dal punto di vista empirico si pone una serie di rilevanti problemi metodologici di cui si cercherà di dar conto qui di seguito Nelle cd “regressioni della crescita” la variabile L’altro esercizio empirico, che deriva direttamente dal modello di Solow, è rappresentato dalla cosiddetta “contabilità della crescita” in cui l’obiettivo è di misurare il “peso” dei singoli fattori di produzione nella dipendente è rappresentata dal tasso di crescita o dalla variazione in un certo lasso di tempo del PIL pro capite o per unità di lavoro e le variabili esplicative sono rappresentate da quelle messe in evidenza dai diversi approcci teorici (tasso di crescita della popolazione, capitale fisico e umano) oltre che dal valore iniziale della variabile dipendente: a queste vengono poi generalmente aggiunte altre variabili di controllo che colgono l’effetto del settore pubblico, del commercio estero, della struttura finanziaria, ecc Ciò premesso, si osservi come, se da un punto di vista teorico le cd “teorie endogene della crescita” hanno fortemente contribuito a migliorare la comprensione dei fenomeni che stanno alla base della crescita, da un punto di vista empirico esse non hanno avuto un vero e proprio “controllo” soprattutto a causa della difficoltà nel testare l’ipotesi relativa alla presenza di esternalità (Pack, 1994) Anche se nelle regressioni viene spesso introdotta qualche variabile esplicativa relativa al peso dell’attività di R&S, le assunzioni delle teorie endogene non sono state direttamente testate e generalmente la scelta tra i due approcci avviene sulla base dell’analisi del processo di convergenza La difficoltà nel testare la superiorità di un approccio rispetto all’altro può essere facilmente compresa se si pensa che: - nel breve periodo è molto difficile distinguere tra un sentiero di crescita esogena ed endogena3; - nel lungo periodo i due percorsi sono distinguibili, ma il lungo periodo può essere raggiunto? Ciò spiega perché, generalmente, le regressioni della crescita si basano sull’equazione di Mankiw, Romer e Weil (1992) Un’altra serie di questioni metodologiche, strettamente legata all’impiego del capitale umano nell’analisi della crescita, riguarda la scelta delle corrette misure del capitale umano (Wưßmann, 2003; Temple, 2001) Anzitutto è necessario domandarsi se è il livello iniziale del capitale umano o la sua crescita ad influenzare la crescita economica: nel primo caso l’ipotesi che si sta facendo è che un alto livello di capitale umano consente di innescare sia un processo di applicazione/imitazione delle tecnologie che vengono dall’estero sia, qualora siano verificate altre ipotesi, un processo di innovazione Tuttavia, come osservato da Temple (2001) l’approccio microeconomico che stabilisce un legame tra il livello di istruzione individuale e il livello di produttività individuale suggerirebbe di analizzare la relazione tra la variazione del livello complessivo di capitale umano e la variazione del livello complessivo della produttività introducendo una serie di problemi di endogeneità Una seconda questione funzione di produzione aggregata Generalmente nelle regressioni viene introdotto, tra le variabili esplicative, il livello iniziale della variabile endogena Se il coefficiente stimato di questa variabile è positivo, si conclude che i paesi (o le regioni) inizialmente meno sviluppati non raggiungeranno quelli più sviluppati, a conferma dell’ipotesi di rendimenti non descrecenti dei fattori Se invece il coefficiente è negativo generalmente si conclude che vi è un processo di convergenza, come previsto dalle teorie neoclassiche In teoria se è in atto un processo di crescita esogena un incremento una tantum del livello di capitale umano un effetto sul tasso di crescita solo nel breve periodo, mentre nel lungo un effetto solo sul livello Invece, se è in atto un processo di crescita endogena l’effetto sul tasso di crescita sarà permanente Se l’analisi viene condotta nel breve periodo i due sentieri sono praticamente identici riguarda la scelta tra variabili di capitale umano stock e d’investimento Generalmente nei primi studi si sono impiegate variabili di investimento rappresentate dal tasso di iscrizione alla scuola superiore in un certo anno4 Tuttavia tale misura presenta, com’è evidente, una serie di problemi: in primo luogo non è detto che tutti coloro che sono iscritti alla scuola secondaria superiore completeranno il percorso di studio ed entreranno a far parte della forza lavoro; in secondo luogo occorre prestare molta attenzione al lasso di tempo necessario affinché questi studenti possano effettivamente essere impiegati nel processo produttivo Le misure stock del capitale umano, rappresentate generalmente dal numero medio di anni di istruzione della forza lavoro, presentano meno problemi metodologici soprattutto se si tiene correttamente conto del fatto che non tutti gli anni addizionali di istruzione hanno lo stesso effetto in termini di produttività Infine l’ultimo problema metodologico concernente l’impiego, nelle analisi empiriche della crescita, del capitale umano riguarda la questione della sua “qualità” Tale questione presenta un duplice aspetto Da un lato è opportuno osservare che, qualora si stiano confrontando percorsi di crescita di paesi molto diversi dal punto di vista istituzionale e, in particolare, in termini di caratteristiche del sistema scolastico, è possibile commettere gravi errori di valutazione attribuendo lo stesso esito ad un anno d’istruzione in realtà profondamente diverse Questo problema, ovviamente, si riduce fortemente qualora si confrontino paesi omogenei o, come nel caso di questo lavoro, qualora si adotti una prospettiva regionale D’altro lato, come sottolineato precedentemente a proposito dell’approccio “alla Romer”, se la crescita economica dipende solamente dal capitale umano impiegato nell’attività di R&S (capitale umano “produttivo”) è necessario, nelle analisi empiriche, cercare di tener conto delle scelte educative della forza lavoro e degli esiti di tali scelte (in termini di addetti alle attività dei R&S) CAPITALE SOCIALE E CRESCITA: QUESTIONI TEORICHE ED EMPIRICHE Il capitale sociale è un concetto multidimensionale, sviluppato principalmente in ambito sociologico, ma che è stato anche recentemente impiegato dall’analisi economica in vari contesti La teoria della crescita utilizza il concetto di capitale sociale l’obiettivo di tener conto in qualche modo della “società civile” quale possibile fattore esplicativo di performance economiche che non potrebbero essere spiegate dai soli fattori tradizionali (capitale umano, capitale fisico, tecnologia) Senza entrare troppo nel dettaglio delle differenti definizioni (metodologiche più che pratiche) emerse nella letteratura sociologica, il capitale sociale può essere visto come un risultato delle relazioni tra gli individui: a differenza del capitale umano, che dipende dalle caratteristiche Generalmente un anno anteriore a quello a partire da quale viene condotta l’analisi per evitare problemi di endogeneità Si può, ad esempio, distinguere tra numero medio di anni di istruzione primaria, secondaria e universitaria individuali e dall’investimento in istruzione, il capitale sociale genera rendimenti economici solo se gli individui decidono di creare relazioni di lungo periodo Coleman (1988, 1990, 1994) sviluppa, nell’ambito di una teoria sociologica della scelta razionale, una definizione “funzionale” del capitale sociale in cui il concetto non viene definito a priori ma è rappresentato dalle sue funzioni, ovvero dalla sua capacità di facilitare certe azioni sociali produttive E’ evidente come una definizione così vaga (anche se metodologicamente corretta) abbia comportato un uso non rigoroso, dal punto di vista concettuale ed epistemologico, del termine nel dibattito socioeconomico (Nan Lin, 2003) Da un diverso punto di vista Putnam e altri (1993) individuano nella presenza di una società civile ben sviluppata e di relazioni fondate sulla fiducia all’interno delle comunità i principali fattori esplicativi dei notevoli risultati economici e istituzionali delle regioni dell’Italia centro settentrionale Anche Fukuyama (1995) definisce il capitale sociale come “la fiducia generalizzata all’esterno della famiglia”, ovvero quella fiducia che facilita le relazioni economiche anche in assenza di leggi e norme condivise Fondamentalmente, dunque, i due principali fattori che portano allo sviluppo del capitale sociale sembrano essere la presenza di relazioni continuative tra gli individui all’interno della comunità e il generarsi, nell’ambito di tali relazioni, di rapporti di fiducia6 Ma attraverso quali meccanismi il capitale sociale così definito produce effetti positivi sulla crescita economica? I rendimenti del capitale sociale avrebbero diverse origini: in primo luogo la presenza di un clima di fiducia e di cooperazione ridurrebbe i costi di transizione e di informazione; in secondo luogo l’esistenza di relazioni di lungo periodo ridurrebbe il rischio di free riding da parte dei partecipanti alle transazioni; infine il capitale sociale sarebbe in grado di sostituire le leggi scritte che regolano le transazioni economiche (Beugelsdijk e Van Schalk, 2001) Mentre sembra piuttosto accettata l’idea di un impatto positivo del capitale sociale sulla crescita, ben più controversa è la questione relativa a come incorporare tale “fattore” in una funzione di crescita Dasgupta (2002) distingue due possibilità: se si ritiene che gli effetti positivi delle reti sociali ricadano solamente su un piccolo gruppo (fondamentalmente su quelli coinvolti nella rete), allora il capitale sociale può essere incorporato semplicemente nel capitale umano; se invece gli effetti del capitale sociale si avvertono in tutta la collettività, allora esso entrerebbe a far parte della “produttività totale dei fattori”, ovvero della componente lasciata non spiegata della funzione di produzione L’impiego del concetto di capitale sociale nell’analisi economica presenta un’ulteriore difficoltà: la sua misurazione Il primo tentativo di sviluppare una misura operativa di capitale sociale è rappresentato dal già citato lavoro di Putnam e al (1993) dove, fondamentalmente, il concetto viene rappresentato dall’intensità delle organizzazioni di volontariato, dal tasso di A questo proposito Hjollund e Svendsen (2000) notano che il capitale sociale può essere definito dalla “mutua fiducia all’interno di un gruppo” partecipazione politica e dall’interesse per gli avvenimenti che coinvolgono la collettività Nel tentativo di migliorare le misure ritenute piuttosto naïve di Putnam, Woolcock (1998) sviluppato un concetto pluridimensionale che si riferisce sia alla sfera micro (Integrazione e Legami) che alla sfera macro (Sinergia e Integrità Organizzativa) e che viene considerato come uno dei più completi finora elaborati poiché consente di tener conto sia della partecipazione ad associazioni, sia dei legami all’interno delle comunità che, infine, della qualità delle istituzioni Nello stesso solco si sviluppa la proposta di Krishna e Shrader (1999) di un Social Capital Assesment Tool (SCAT) che consente di costruire una misura di capitale sociale che lega aspetti micro (valori, norme sociali, comportamenti e attitudini) e macro (livello di decentramento, partecipazione al processo politico, struttura legislative, ecc.) Con l’obiettivo di rendere operativo il concetto di capitale sociale Lin (2003) sviluppa una misura tridimensionale costituita da un indice di network, da un indice di impegno civico e da un indice di fiducia generalizzata applicati ad un meso livello, quello cioè che corrisponde ad aggregazioni sociali quali gruppi, reti e comunità Un utilissimo insieme di indicatori di capitale sociale, sviluppato su un’ampia cross section di paesi (79), è la World Value Survey, un’indagine sui cambiamenti politici e socioculturali condotta a partire dal 1980 Da quest’indagine è possibile desumere informazioni relative sia all’associazionismo (attivo e passivo), sia al livello di fiducia generalizzato che a quello riposto nelle istituzioni Dal momento che alcuni di questi dati verranno utilizzati nell’analisi empirica si rimanda al paragrafo per una loro descrizione CAPITALE UMANO, CAPITALE SOCIALE E CRESCITA: I PRINCIPALI RISULTATI DELLA LETTERATURA 4.1 Le analisi cross-country Un sistema utile per organizzare i principali risultati della vasta letteratura empirica crosscountry circa la relazione tra capitale umano e crescita è quella suggerita da Dowrick (2003) che consiste nell’individuare tre diversi filoni di analisi che corrispondono a tre diverse fasi temporali Il primo gruppo di studi è quello rappresentato dai pioneristici lavori di Barro (1991), Eglander e Gurney (1994) fino ad arrivare a Barro e Sala-i-Martin (1995) che stimano su una singola cross-section (Barro 1991) o su un insieme di cross-section (gli altri) l’effetto del livello iniziale di capitale umano (insieme ad altre variabili di controllo) sul tasso di crescita della produttività o della ricchezza pro capite In questi lavori il capitale umano è rappresentato dal tasso di iscrizione alla scuola secondaria superiore nell’anno base (nei primi due studi) e dalle spese in istruzione in rapporto al PIL (nel terzo) I risultati di questi lavori risultano in linea le previsioni della letteratura neoclassica mettendo in luce sia l’esistenza di un processo di convergenza, che un forte effetto del capitale umano sulla crescita Nel secondo filone di rientrano gli studi che utilizzano metodi di stima panel (Islam, 1995, Caselli e al 1996, Barro e Lee 1997) per tener conto sia degli effetti individuali che riflettono differenze tecnologiche e istituzionali tra i paesi, sia dell’endogeneità di alcune variabili esplicative Sintetizzando i risultati ottenuti, in questi approcci si riduce decisamente l’effetto del capitale umano (misurato come stock) sulla crescita come se l’introduzione della dimensione temporale riducesse l’effetto della variabilità tra paesi Nel tentativo di fornire una spiegazione controversi risultati sopra ricordati, il terzo gruppo di studi individua nella modellizzazione di relazioni non lineari (Krueger e Lindahl, 2001), nell’introduzione di variabili istituzionali e nell’applicazione di metodi di stima più sofisticati su campioni di paesi più omogenei (Pritchett, 2001; Bassanini e Scarpetta, 2001a) dei possibili miglioramenti Rimane confermato, comunque, il minor peso del capitale umano sulla crescita rispetto agli studi dei primi anni Novanta Al di dei risultati talora contradditori emergono chiaramente alcune linee guida per le future analisi della relazione tra capitale umano e crescita Anzitutto, se è vero che una certa variabilità tra le unità oggetto di indagine è necessaria, l’eccessiva variabilità, che si osserva quando si confrontano paesi troppo diversi per caratteristiche istituzionali, può portare ad una sovrastima dell’effetto del capitale umano E’ evidente, poi, come un approccio panel che consente di sfruttare sia la variabilità tra le unità di indagine che la variabilità temporale e, quindi, di controllare per effetti specifici e invarianti nel tempo appaia decisamente migliore riapetto alle semplici cross-section Infine sembra fondamentale, sfruttando la disponibilità di serie temporali più lunghe, dedicare particolare attenzione alla corretta specificazione del modello tenendo conto della struttura dei ritardi più opportuna Per quel che concerne invece la relazione tra capitale sociale e crescita è possibile rinvenire, nella pur recente e non vastissima letteratura sull’argomento, due principali filoni di ricerca che si differenziano per il concetto di capitale sociale adottato Nel primo filone di studi il capitale sociale, inteso in senso lato, è rappresentato dal corretto funzionamento delle istituzioni sintetizzato da indici più o meno oggettivi di libertà, democrazia o instabilità politica (Barro, 1994; Barro, 1996; Levine e Renelt, 1992; Alesina e Rodrik, 1991; Alesina e al 1992) Se generalmente i risultati di questi lavori mostrano una relazione positiva tra il buon funzionamento delle istituzioni e le performance economiche, appare metodologicamente scorretto, se ci si riferisce al dibattito sociologico brevemente ricordato nel par.3, impiegare il concetto di capitale sociale quando si considerano esclusivamente delle istituzioni formali senza tener conto delle relazioni tra gli individui Il secondo filone di indagine, meno sviluppato, utilizza invece indicatori di capitale sociale che sono più coerenti le definizioni sociologiche Helliwell e Putnam (1995) e ancor meglio Knack e Keefer (1997), Whiteley (2000) e Beugelsdijk e van Schaik (2001) impiegano proxy del capitale sociale che derivano direttamente dal concetto di “senso civico”, di “fiducia” e di “partecipazione attiva” Ad eccezione di quello di Halliwell e Putnam, i lavori sopra citati utilizzano le informazioni sul capitale sociale desunte dal World Value Survey giungendo a conclusioni assai poco omogenee che possono dipendere sia dalla scelta di differenti data set, che dai diversi indici di fiducia utilizzati 7, ma anche da un problema ben più sostanziale qual è l’evidente arbitrarietà che viene introdotta nell’analisi economica da un concetto socio-psicologico come quello di capitale sociale (Durlauf, 2002) 4.2 Crescita e convergenza nelle regioni italiane La maggior parte dei contributi riguardanti l’analisi dei processi di crescita delle regioni italiane si è concentrata sulla questione della convergenza nel tentativo di mettere in luce la possibilità di una progressiva omogeneizzazione delle condizioni economiche delle diverse economie regionali o, viceversa, dell’esistenza di “club di convergenza” ovvero di aree caratterizzate da autonomi sentieri di crescita8 Il ruolo del capitale umano è così rimasto parzialmente in ombra: la sua introduzione nelle regressioni della crescita è stata infatti finalizzata a testare l’ipotesi di convergenza condizionale rispetto a quella di convergenza assoluta, piuttosto che a misurare il suo impatto sulla crescita economica Per questo motivo, probabilmente, nella maggior parte degli studi relativi alle regioni italiane non si sono tenuti in gran conto le questioni relative alla corretta misurazione del capitale umano Il capitale umano è stato generalmente introdotto nei termini del solo tasso di iscrizione alla scuola secondaria superiore in un anno antecedente a quello di analisi (Cellini e Scorcu 1997a e 1997b; Mauro e Podrecca, 1994; Paci e Pigliaru, 1995) la duplice conseguenza di non considerare i problemi connessi a questo tipo di proxy9 e di non sfruttare la variabilità temporale Un contributo che invece si è concentrato sul ruolo del capitale umano sulla crescita delle regioni italiane è quello di Di Liberto e Symons (1998) che utilizza una proxy dello stock di capitale umano regionale di cui viene sfruttata la variabilità temporale inserendola come regressore time-varying in un’analisi panel Tuttavia il lavoro di Di Liberto e Symons, basandosi su una stima dello stock di capitale umano della popolazione attiva partendo dai dati censuari che hanno cadenza decennale, incorre nei problemi derivanti dall’impiego dei dati stimati rispetto a quelli effettivi Anche la metodologia di stima GLS utilizzata pone rilevanti problemi in presenza di panel non particolarmente ampi (par.6) Knack e Keeft stimano una regressione di crescita per 29 paesi includendo, tra le variabili esplicative, un indice del rispetto delle norme civiche e un indice di fiducia Le due variabili hanno un effetto positivo e significativo sulla crescita che si riduce, tuttavia, introducendo una proxy del capitale umano Nessuna relazione significativa sembra invece emergere tra il tasso di associazionismo e la crescita A risultati simili giunge Whiteley (2000) utilizzando un indice sintetico di fiducia ricavato da un’analisi per componenti principali di tre indici di fiducia ricavati sempre dalla WVS su un campione di 34 paesi Beugelsdijk e van Schaik (2001), invece, limitando la loro analisi a 54 macroregioni europee giungono a risultati diversi evidenziando un effetto positivo del tasso di associazionismo attivo e un effetto non significativo del livello di fiducia Si veda Aiello e Scoppa (1999) per una breve ma completa rassegna della letteratura empirica sulla convergenza delle regioni italiane Si veda il par.2 Il ruolo del capitale sociale, benché abbia suscitato un notevole interesse in vari ambiti, non vieneo analizzato nelle stime delle regressioni di crescita per le regioni italiane soprattutto per i notevoli problemi di misurazione DATI Quest’analisi si concentra sul periodo 1980-2001 Generalmente gli studi sulla convergenza delle regioni italiane si sono concentrati su intervalli più lunghi, che comprendono il periodo di forte sviluppo e di parziale declino dei decenni Sessanta e Settanta Tuttavia, dal momento che l’obiettivo di questo lavoro l’analisi dell’impatto del capitale umano (oltre che sociale) sulla crescita più che lo studio della convergenza, ci si è limitati all’orizzonte temporale sopra indicato poiché solo a partire dal 1980 vengono raccolti e pubblicati i dati relativi al titolo di studio della forza lavoro a livello regionale 10 Del resto, anche per quel che concerne le informazioni sul capitale sociale relative all’indice di fiducia generalizzata desunte dallo European Value Study (che è parte integrante del World Value Study), i primi dati disponibili sono relativi al 1981 5.1 La crescita delle regioni italiane nel periodo 1980-2001 La produzione delle regioni italiane, misurata dal PIL, è aumentata di circa il 2% medio annuo nel periodo 1980-2001 (tabella1) Questo dato è il risultato di un tasso di crescita medio annuo pari a circa il 2.3% negli anni Ottanta e a poco più dell’1,6% negli anni Novanta Le regioni del Nord Est hanno avuto, com’è noto, tassi di crescita leggermente superiori alla media nazionale in tutto il periodo considerato, ma, in particolare, durante gli anni Novanta Per le altre aree non è possibile evidenziare dinamiche altrettanto chiare, anche se si possono individuare regioni che presentano performance superiori alla media della propria area, come la Lombardia e l’Abruzzo negli anni Ottanta, le Marche e la Basilicata negli anni Novanta e la Calabria in tutto il periodo considerato La netta riduzione del tasso di crescita della produzione in Italia registratosi durante l’ultimo decennio del secolo scorso si riflette solo parzialmente in una riduzione del tasso di crescita medio annuo della produttività (+1,66% negli anni Ottanta, +1,46% negli anni Novanta) La crescita pressoché uniforme della produttività registrata a livello nazionale nel decennio 1980-1990 e nel periodo 1990-2001 è in realtà il risultato di dinamiche regionali e di area piuttosto differenti che portano ad una modifica delle posizioni delle singole regioni che potrebbe indicare la ripresa di un seppur debole processo di convergenza Le regioni dell’Italia centrale presentano tassi di crescita inferiore alla media nazionale, anche se la tendenza sembra ad un progressivo miglioramento a partire dagli anni Novanta Lo stesso trend crescente è manifestato dalle regioni del Nord Est che presentano, negli anni Novanta, tassi di crescita della produttività decisamente 10 Le informazioni relative tassi di scolarizzazione secondaria superiore sono invece disponibili, a livello regionale, per un periodo più ampio 10 BIBLIOGRAFIA Aghion, P e Howitt, P (1992), “A Model of Growth through Creative Destruction”, Econometrica, vol 60(2), pp 323-351 Aghion, P e Howitt, P (1998), Endogenous growth theories, Cambridge Mass: MIT Press Aghion, P e Cohen, E (2004), Education et croissance, La Documộntation Franỗaise Aiello, F e Scoppa, V (1999), Divari regionali in Italia: differenze nei tassi di crescita o nei livelli?, mimeo Alesina, A e La Ferrara, E (2000a), The Determinants of Trust, NBER W.P nr 7621 Alesina, A e La Ferrara, E (2000b), Who trust others?, CEPR D.P nr 2646 Alesina, A e Roderick, D (1991), Distributive politics and Economic Growth, CEPR D.P nr.565 Alesina, A., Ozler, S., Rubini, N e Swagel, P (1992), Political Instability and Economic Growth, NBER W.P nr.4173 Baltagi, B.H., Bresson, G., Pirotte, A (2002), Fixed effects, random effects or 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Composizione della forza lavoro per titolo di studio nel 1980 e nel 2001 2001 1980 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% 4.1% 4.2% 16.5% 15.0% 33.9% 32.7% 45.5% 48.1% NO NE 6.0% 5.2% 4.9% 18.8% 16.0% 16.5% 29.2% 31.3% 29.8% 45.4% 49.6% CE 47.3% SUD 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% ITA Lic elem., analf Dip media inf Dip scuola sec sup Dip univ., laurea e sup 12.0% 11.1% 13.5% 41.7% 42.4% 41.9% 36.0% 35.4% 33.7% 10.2% 11.1% 11.0% 14.7% 12.0% NO NE CE SUD ITA 11.4% 11.9% 36.0% 40.1% 37.9% 36.0% Lic elem., analf Dip media inf Diploma scuola sec sup Dipl univ., laurea e sup Figura Numero medio di anni di istruzione complessiva (a) e superiore (b) della forza lavoro a) b) 12.00 3.50 11.00 3.00 10.00 2.50 9.00 2.00 8.00 1.50 7.00 1.00 19 80 19 82 19 84 19 86 19 88 19 90 19 92 19 94 19 96 19 98 20 00 19 80 19 82 19 84 19 86 19 88 19 90 19 92 19 94 19 96 19 98 20 00 6.00 NO NE CE NO SUD 28 NE CE SUD Figura Laureati in materie tecnico scientifiche sul totale dei laureati 55% 50% 45% 40% 35% 30% 25% 19 80 19 82 19 84 19 86 19 88 19 90 19 92 19 94 19 96 19 98 20 00 20% NO NE CE SUD Figura Indice di criminalità (a) e di “solidarietà” (b) a) NO NE CE NO 29 NE CE 20 19 19 19 SUD 19 19 10 10 19 20 15 19 30 20 19 40 25 19 50 19 30 19 80 19 82 19 84 19 86 19 88 19 90 19 92 19 94 19 96 19 98 20 00 60 b) SUD Tabella Tassi di crescita medi annui del PIL e della produttività per regioni e per aree (valori percentuali) PIL PIL/Unlav 1980-1990 1990-2001 1980-2001 1980-1990 1990-2001 1980-2001 Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia NO Veneto Trentino Alto Adige Friuli Venezia Giulia Emilia Romagna NE Toscana Umbria Marche Lazio CE Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna SUD ITA 1.79 2.09 1.21 2.94 2.43 2.67 2.19 2.28 1.76 2.21 1.79 1.75 1.76 2.91 2.31 2.72 1.90 2.18 2.21 1.68 2.32 1.88 1.69 2.09 2.27 1.23 0.88 1.11 1.50 1.39 2.25 1.75 1.94 2.14 2.13 1.94 1.92 2.49 1.46 1.77 1.49 1.58 1.27 1.52 2.41 1.87 1.02 1.63 1.39 1.63 1.50 1.45 1.16 2.19 1.88 2.45 1.96 2.10 1.96 2.17 1.87 1.84 2.14 2.15 2.03 2.08 1.73 1.71 1.85 2.06 2.09 1.43 1.66 1.72 1.93 30 2.07 1.34 1.41 1.95 1.93 1.50 0.94 2.28 1.19 1.40 1.41 1.29 1.56 1.29 1.41 1.76 2.40 2.14 1.82 2.07 1.63 1.62 0.23 1.70 1.66 1.30 1.01 1.85 1.35 1.31 1.89 1.54 1.98 1.82 1.70 1.68 1.61 2.54 1.21 1.43 1.40 1.71 1.28 1.67 3.05 2.03 1.16 1.75 1.47 1.46 1.61 1.25 1.49 1.62 1.60 1.62 1.19 2.05 1.49 1.56 1.47 1.41 1.96 1.23 1.42 1.59 2.09 1.71 1.72 2.43 1.81 1.34 0.99 1.58 1.56 Tabella Numero medio di anni di istruzione della forza lavoro per regione Regio MAR PUG BAS MOL VEN TTA PIE CAM UMB EMR SAR VDA ABR TOS SIC LOM CAL FVG LIG LAZ Anno1980 7.37 7.43 7.49 7.53 7.54 7.57 7.63 7.72 7.73 7.74 7.77 7.77 7.78 7.79 7.80 7.85 7.90 8.06 8.30 8.71 Regio BAS SAR PUG SIC VDA CAL CAM TOS MOL PIE MAR ABR VEN TTA EMR LOM LIG FVG UMB LAZ Anno 2001 10.10 10.19 10.23 10.40 10.43 10.44 10.47 10.56 10.56 10.61 10.64 10.66 10.68 10.77 10.81 10.96 10.97 11.06 11.23 11.33 Tabella Numero medio di anni di istruzione superiore della forza lavoro per regione Regio TTA VEN MAR PIE PUG LOM SAR VDA BAS EMR CAM UMB MOL TOS FVG ABR SIC CAL LIG LAZ Anno 1980 0.92 0.99 1.06 1.10 1.13 1.19 1.20 1.21 1.21 1.25 1.27 1.27 1.27 1.29 1.30 1.36 1.39 1.48 1.55 1.82 Regio BAS SAR PUG VDA SIC CAM CAL PIE TOS MOL VEN ABR MAR TTA EMR LOM LIG FVG UMB LAZ Anno 2001 2.60 2.61 2.71 2.77 2.86 2.87 2.94 2.94 2.95 2.97 3.01 3.01 3.05 3.06 3.19 3.26 3.27 3.31 3.53 3.59 31 Tabella Indice di fiducia generalizzata per regione Indice di fiducia generalizzata Piemonte Valle d'Aosta Liguria Lombardia NO Veneto Trentino Alto Adige Friuli Venezia Giulia Emilia Romagna NE Toscana Umbria Marche Lazio CE Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna SUD ITA 39.3 19.3 35.9 43.2 40.6 50.2 43.6 41.5 28.9 40.8 33.3 20 42.6 25.3 29.6 28.2 35.7 25 32.2 35.8 37.1 26.2 5.5 27.6 35.3 Tabella Risultati del test di Im Pesaran e Shin per la presenza di radici unitarie su dati panel e relazione di cointegreazione Variabili Dipendente Lpillav Covariate lg1unlav lrsup lranni lrannobl lrlautec Lrelefl Lrmedfl lrdipfl lrlaufl lrinvb lrcocoa lrdel lravis W[t-bar] Ordine di integrazione 0.251 I(1) -10.340 1.489 0.297 0.038 -0.924 1.585 -2.091 -1.451 -0.033 -0.912 2.903 -1.125 2.701 I(0) I(1) I(1) I(1) I(1) I(1) I(0) I(1) I(1) I(0) I(1) I(1) I(1) Cointegrazione la variabile dipendente C(1,1) C(1,1) C(1,1) C(1,1) C(1,1) C(1,1) C(1.1) C(1,1) C(1,1) C(1,1) C(1,1) W[t-bar] è distribuita come una normale standard sotto l’H0 di non stazionarietà 32 Tabella Lpillav lranni Lrlautec Lrinvb Lrcocoa Lravis Lrdel D1lranni D1lrlautec D1lrinvb D1lrcocoa d1lrdel Lg1unlav Ltrust901 Anni80 Cost Osservazioni Col I MQO Newey W est S.E -0.0553 (0.0144)**** 0.0857 (0.0191)*** 0.0057 (0.0037) -0.0011 (0.005) 0.0205 (0.0085)** 0.0029 (0.0013)** 0.0018 (0.0033) 0.0786 (0.0941) -0.0124 (0.009) 0.0046 (0.0119) -0.2101 (0.0494)*** 0.0101 (0.0062) -0.027 (0.0039)*** 0.006 (0.0018)*** 0.0115 (0.0026)*** 0.1212 (0.1531) Col II Fixed effect errori AR(1) -0.197 (0.0305)*** 0.2347 (0.0399)*** -0.0044 (0.0072) -0.0264 (0.0092)*** 0.0501 (0.0205)** -0.0017 (0.0032) 0.0003 (0.0048) 0.1653 (0.089)* -0.0119 (0.0074) 0.0106 (0.012) -0.1952 (0.0516)*** 0.0066 (0.0058) -0.022 (0.0037)*** 368 Col III PCSE AR(1) uguale 0.0134 (0.0033)*** 0.94 (0.3409)*** -0.0563 (0.0119)*** 0.0862 (0.0241)*** 0.0057 (0.0029) -0.0012 (0.0051) 0.0207 (0.0095)** 0.0029 (0.0011)** 0.0019 (0.0029) 0.0767 (0.104) -0.0124 (0.0067) 0.0041 (0.011) -0.2107 (0.077)*** 0.010 (0.0065) -0.0268 (0.0034)*** 0.0061 (0.0015)*** 0.0114 (0.0043)*** 0.128 (0.124) Col IV PCSE AR(1) diverso per regione -0.0549 (0.0109)*** 0.0862 (0.0212)*** 0.0041 (0.0028) -0.0019 (0.0051) 0.0188 (0.0095)** 0.0031 (0.0012)** 0.0026 (0.0027) 0.075 (0.0997) -0.0088 (0.0067) 0.0093 (0.0114) -0.202 (0.0739)*** 0.007 (0.0063) -0.0298 (0.0034)*** 0.0053 (0.0014)*** 0.0126 (0.0039)*** 0.119 (0.111) Col V Stimatore di HausmanTaylor § -0.1546 (0.026)*** 0.1935 (0.0034)*** 0.00059 (0.0063) -0.0234 (0.0083)*** 0.0517 (0.0177)*** -0.0006 (0.0027) -0.0013 (0.0041) 0.1329 (0.085) -0.0107 (0.0072) 0.0122 (0.11) -0.190 (0.049)*** 0.0053 (0.0055) -0.0244 (0.0033)*** 0.01215 (0.0106) 0.0136 (0.0032)*** 0.591 (0.30)* 368 368 368 368 33 Tabella Lpillav Lrmedfl Lrdipfl Lrlaufl Lrinvb1 Lrcocoa Lravis Lrdel D1lrmedfl D1lrdipfl D1lrlaufl D1lrinvb D1lrcocoa d1lrdel Lg1unlav Ltrust901 Anni80 Cost Osservazioni § Col I MQO Newey W est S.E -0.0573 (0.012)*** 0.032 (0.0075)*** 0.0311 (0.0085)*** 0.0051 (0.0064) -0.0035 (0.005) 0.0094 (0.0059) 0.0026 (0.0013)** -0.003 (0.0031) 0.039 (0.026) 0.048 (0.022)** 0.0022 (0.0143) 0.0036 (0.0121) -0.1952 (0.048)*** 0.005 (0.0053) -0.028 (0.004)*** 0.004 (0.0017)** 0.0139 (0.0027)*** 0.5231 (0.131)*** 420 Col II Fixed effect errori AR(1) -0.1514 (0.0265)*** 0.0235 (0.0162) 0.0417 (0 013)*** 0.0258 (0.0108)** -0.0195 (0.0097)** 0.0327 (0.0249) 0.0026 (0.0038) -0.0017 (0.0045) 0.078 (0.028)*** 0.0663 (0.0217)*** 0.01 (0.014) 0.0057 (0.0114) -0.2011 (0.0506)*** 0.0039 (0.0053) -0.0256 (0.0033)*** - Col III PCSE AR(1) uguale -0.0549 (0.0147)*** 0.0322 (0.009)*** 0.0307 (0.0101)*** 0.0051 (0.007) -0.0031 (0.0054) 0.0088 (0.0065) 0.0025 (0.0011)** -0.0006 (0.003) 0.0697 (0.0336)** 0.0488 (0.0229)** 0.0018 (0.0138) 0.0046 (0.0121) -0.1952 (0.078)** 0.0049 (0.0055) -0.0286 (0.0035)*** 0.0040 (0.0016)** 0.0141 (0.0045)*** 0.5051 (0.1536)*** 420 0.0122 (0.0034)*** 1.222 (0 416)*** 420 Col IV PCSE AR(1) diverso per regione -0.0543 (0.014)*** 0.0335 (0.0083)*** 0.0285 (0.0087)*** 0.0085 (0.0087) -0.0024 (0.0065) 0.0083 (0.0066) 0.003 (0.0012)** -0.0003 (0.003) 0.0777 (0.0318)** 0.0456 (0.0218)** 0.0002 (0.0127) 0.0063 (0.0115) -0.1941 (0.0745)*** 0.0022 (0.0054) -0.0314 (0.0034)*** 0.004 (0.0014)*** 0.0157 (0.0042)*** 0.503 (0.1416)*** 420 le variabili inserite come endogene sono quelle relative al capitale sociale *** significativo all’1% **significativo al 5% *significativo al 10% 34 Col V Stimatore di HausmanTaylor§ -0.1118 (0.0205)*** 0.0243 (0.0107)** 0.038 (0.0107)*** 0.0148 (0.009) -0.0159 (0.0081)** 0.0279 (0.0161)* 0.0039 (0.0027) -0.005 (0.0035) 0.0667 (0.0267)** 0.0509 (0.02)** 0.0068 (0.013) 0.0079 (0.011) -0.199 (0.0495)*** 0.0043 (0.0049) -0.0262 (0.0031)*** 0.0065 (0.006) 0.0135 (0.0032)*** 0.92 (0.286)*** 420 APPENDICE VARIABILI E FONTI  PIL 95  lpillav= ln   Unlav   unlavt1  unlavt   0.08 lg1unlav= ln unlavt   g+  =0.08 uguale per tutti (in modo da avere il logaritmo della somma n +g +  in ogni caso)  anni  lranni= ln   FL   annobl  lrannobl= ln   FL   ELEM  ANALF  lrelefl= ln  FL    MED  lrmedfl= ln   FL   DIP  lrdipfl= ln   FL   UNIV  lrlaufl= ln   FL   lautec  lrlautec= ln   lautot   IFL  lrinvb = ln   PIL   COCO  lrcocoa = ln   Poptot   AV IS *1000 lravis = ln  Poptot    DEL *1000 lrdel = ln   Poptot  35 Variabile PIL95 Significato Pil a prezzi 1995 Fonte ISTAT Unlav Unità di lavoro ISTAT FL Forza lavoro ISTAT Anni Numero complessivo di anni di istruzione della forza lavoro ISTAT Numero di anni di istruzione non obbligatoria della forza lavoro ELEM+ANA Forza lavoro LF licenza elementare o analfabeta ISTAT MED Forza lavoro licenza elementare o analfabeta ISTAT DIP Forza lavoro diploma di scuola secondaria superiore ISTAT LAU Forza lavoro diploma universitario, laurea o ISTAT Annobl ISTAT Pubblicazione Conti Economici Regionali Conti Economici Regionali Rilevazione trimestrale delle forze di lavoro Elaborazione su Rilevazione trimestrale delle forze di lavoro Elaborazione su Rilevazione trimestrale delle forze di lavoro Elaborazione su Rilevazione trimestrale delle forze di lavoro Elaborazione su Rilevazione trimestrale delle forze di lavoro Elaborazione su Rilevazione trimestrale delle forze di lavoro Elaborazione su Rilevazione trimestrale delle forze 36 Periodo 19802001 19802001 19802001 19802001 19802001 19802001 19802001 19802001 19802001 Note Ottenuto moltiplicando il n° di appartenenti alla forza lavoro che hanno un certo titolo di studio per il numero di anni necessario per conseguirlo Ottenuto moltiplicando il n° di appartenenti alla forza lavoro che hanno un titolo di studio superiore o universitario per il numero di anni necessario per conseguirlo lautec lautot IFL COCO Poptot AVIS DEL TRUST901 specializzazione post laurea Numero di laureati in materie tecnicoscientifiche di lavoro lavoro ISTAT Annuario/Statistiche dell’Istruzione 19802001 Numero complessivo di laureati Investimenti fissi lordi Consumi collettivi ISTAT Popolazione complessiva Numero di donatori di sangue Delitti denunciati dalle forze dell’ordine % di intervistati che dichiarano di fidarsi degli altri (moltiplicato per il peso campionario) ISTAT Annuario/Statistiche dell’Istruzione Conti Economici Regionali Conti Economici Regionali Conti Economici Regionali AVIS 19802001 19802001 19802001 19802001 19802001 19802001 ISTAT ISTAT AVIS ISTAT Steinmetz Archive Amsterdam Annuario Statistico Italiano European Values 1990 Study (computer file) 37 La Valle d’Aosta non è inclusa nel campione perché non Università nel periodo considerato; Il Molise non è incluso nel campione perché il basso numero di facoltà istituite nelle sue Università (comunque solo a partire dagli anni Novanta) potrebbe distorcere le stime Come sopra I componenti italiani dello European Values Study Group sono i professori Capraro e Gubert dell’Università di Trento ... della variabile dipendente (la produttività) viene regredita su covariate inserite nei livelli e nelle differenze prime per cogliere rispettivamente le dinamiche di lungo e di breve periodo k k... accettare l’ipotesi di cointegrazione delle serie Alla luce delle caratteristiche temporali delle serie prese in considerazione, l’equazione ECM che sarà oggetto di stima è la seguente: 15 Si veda... hanno evidentemente una produttività via via decrescente, a conferma dell’assunzione di rendimenti decrescenti del lavoro Per quel che concerne il capitale umano, un risultato che emerge chiaramente

Ngày đăng: 18/10/2022, 18:05

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