1. Trang chủ
  2. » Ngoại Ngữ

LE ISTITUZIONI DEL LAVORO NELL’EUROPA DELLA CRISI

87 5 0

Đang tải... (xem toàn văn)

Tài liệu hạn chế xem trước, để xem đầy đủ mời bạn chọn Tải xuống

THÔNG TIN TÀI LIỆU

Nội dung

LE ISTITUZIONI DEL LAVORO NELL’EUROPA DELLA CRISI Prof Tiziano Treu Sezione I Convergenze e asimmetrie nelle regole europee Diritto del lavoro e salute dell’economia Già Sinzheimer nel 1933 sottolineava lo stretto legame dell’economia; e osservava come la tempesta mondiale fra diritto del lavoro e salute di quel periodo, un “cimitero economico di disoccupazione strutturale”, investisse il diritto del lavoro in maniera più violenta rispetto alle altre branche del diritto.1 Negli anni recenti la più grave crisi del dopoguerra induce osservatori attenti e preoccupati a domandarsi se sia in pericolo la sopravvivenza dei sistemi di diritto del lavoro e di protezione sociale sviluppatisi in Europa dal 19452 Il legame fra diritto del lavoro e salute del sistema economico è strutturale, anche se “denegato“ dallo statuto della nostra materia, perché il diritto del lavoro si preoccupa tradizionalmente di proteggere i lavoratori, non di garantire la salute dell’economia e neppure di promuovere l’occupazione Questo stretto rapporto è carico di potenziali contraddizioni Si è potuto sostenere a lungo nel secolo scorso perché i sistemi economici avanzati hanno alimentato le aspettative che il capitalismo avrebbe potuto garantire un continuo miglioramento delle condizioni dei lavoratori (occupazione, salari, protezione sociale e sicurezza) e dei diritti di cittadinanza sociale (Marshall) in modo da permettere lavoratori di partecipare in posizione centrale benefici del welfare State democratico.3 economica hanno rappresentato momenti Per questo i periodi di crisi non solo di trasformazione, ma di vera e propria Lo ricorda B Hepple, all’inizio del suo saggio su questo tema, Diritto del lavoro e crisi economica: lezioni dalla storia europea, GDLRI, 2009, p 392; H Sinzheimer, Die Krisis des Arbeitsrechts, ristampato in H Sinzheimer, Abustrechts und Rechtsoziologie, II, Frankfurt , 1976, p 135-145 B Hepple, Diritto del lavoro, cit., p 392; M.R Pinero, La grave crisi del diritto del lavoro, LD, 2012, p ss.; C Barnard, The financial crisis and the Euro plus pact: a labour lawyer’s perspective, Ind Law Journal, n 1, 2012, p 98 ss (che conclude per una “prognosi infausta”) W Streeck, Le relazioni industriali oggi, DRI, 2009, p 255 ss.; e in generale ID, Re-forming capitalism, OUP, 2009, cap I minaccia agli assetti del diritto del lavoro e al suo stesso statuto fondativo E’ in questi periodi che i cultori delle nostre materie si interrogano, non solo in Italia, sulla loro capacità di resistere alle minacce della crisi e dalla colonizzazione da parte di un’economia in difficoltà In questa analisi considero insieme il sistema del diritto del lavoro e del welfare pubblico in stretta relazione le relazioni industriali, perchè nel nostro ordinamento, come nella maggior parte di quelli europei, questi sistemi di regolazione dei rapporti di lavoro si sono sviluppati parallelamente Il primo, di origine statale, fornito il quadro di sostegno o di controllo entro il quale le relazioni industriali si sono svolte La rete di rapporti e di accordi fra le parti collettive completato e spesso preceduto la formazione del diritto legale Sulle sorti di questi due sistemi si interrogano anche i sociologi e i politologi, perché, dato il ruolo chiave delle istituzioni del lavoro e delle relazioni industriali nel compromesso sociale che retto per un secolo il capitalismo e le socialdemocrazie moderne, l’esito della sfida tra economia e lavoro assunto una rilevanza altrettanto importante nelle vicende delle istituzioni democratiche e pluraliste e nelle “varietà del capitalismo” L’illusione che sotto il “capitalismo democratizzato” i diritti sociali potessero essere estesi in maniera indefinita, ancorchè graduale, il sostegno dello Stato e l’accettazione delle imprese, anch’esse appoggiate da risorse pubbliche, cominciò a diradarsi già nella seconda metà degli anni ’70, a seguito della cd crisi del petrolio del 1973; perché questa mise in dubbio la capacità del sistema pubblico e privato di garantire stabilmente una crescita elevata e quindi una spartizione concordata, ritenuta equa e sostenibile, delle sue risorse.5 I patti sociali reiteratisi negli anni successivi all’insegna del corporativismo democratico, specie in momenti di crisi, costituiscono uno strumento variamente utilizzato nei paesi europei per ridefinire i termini del compromesso e per stabilizzarlo nelle nuove e difficili condizioni economiche Non a caso quasi tutti questi patti hanno introdotto importanti modifiche negli assi portanti degli ordinamenti del lavoro e delle Relazioni Industriali: in primis il superamento degli automatismi salariali, divenuti insostenibili senza una crescita economica continua; poi la introduzione delle Così ancora W Streeck, Le relazioni industriali oggi, cit., p 256, che ricorda le aspettative di allora di una “irreversibile addizione di diritti sociali” L’esperienza dei patti sociali, dei loro meriti e demeriti, diffusa specie nei paesi europei, è uno degli argomenti più discussi non solo dai giuristi, ma dai cultori delle Relazioni Industriali, sociologi ed economisti, a riprova della loro importanza come parte del modello sociale europeo e più in generale delle varietà di capitalismo organizzato e delle aspettative in essi riposte da molti dei suoi sostenitori: nella vastissima letteratura in argomento rinvio, per tutti, anche per prospettive diverse, M Regini, L’Europa fra deregolazione e patti sociali, SM, 1999, p ss e T Treu, Concertazione, in Diritto del lavoro, a cura di P Lambertucci, Giuffrè, Milano, 2010, p 75 – 90; G Giugni, La lunga marcia della concertazione, Mulino, Bologna, 2003 flessibilità, variamente regolate, dei rapporti e del mercato del lavoro; e ancora la revisione della contrattazione collettiva nazionale, propria delle relazioni industriali più consolidate, in direzione di un decentramento sia pur controllato Il successo relativo di questi patti e delle politiche di moderazione salariale doveva avere come prezzo il riconoscimento sindacati “concertativi” di contropartite, specie di partecipazione alle istituzioni, e la attribuzione lavoratori (quelli stabili) di benefici di welfare variamente diffusi a seconda delle tradizioni del paese Il che comportava la crescita dei costi a carico delle finanze pubbliche e in parte anche dei datori di lavoro e dei lavoratori occupati Tali esperienze di stabilizzazione dovevano rivelarsi di breve durata e incapaci di evitare il ritorno di crisi periodiche, perché i loro costi indebolivano le possibilità dello Stato di finanziare la crescita e lo scambio corporativo, e perché la concertazione non riusciva a incidere sui motivi strutturali delle crisi interni alle dinamiche dell’economia capitalista D’altra parte le esperienze e la stessa idea di compromesso neo corporativo dovevano perdere terreno a fronte dell’offensiva ideale e politica dei governi liberisti insediatisi in alcune economie avanzate, che si sono impegnati in un processo di ridimensionamento, se non di smantellamento delle istituzioni del lavoro ricevute dalla tradizione socialdemocratica Le politiche di liberalizzazione hanno inciso sia sugli ordinamenti nazionali del lavoro, diversa intensità a seconda della “resistenza” delle loro istituzioni, sia sulle politiche sociali della Comunità europea Proprio allora, a partire dalla fine del secolo, l’armonizzazione nel progresso, sostenuta in Europa dal forte protagonismo normativo delle direttive dei “Trenta gloriosi”, doveva cedere il passo a interventi meno precettivi, destinati ad approdare allo strumento, tuttora prevalente, del metodo aperto di coordinamento.6 Il cambiamento del “campo di gioco” e la crisi: il diritto del lavoro alla prova della competitività Nello stesso periodo dovevano intervenire altri fattori decisivi nel determinare il rapporto fra diritto del lavoro ed economia: l’accelerarsi delle innovazioni tecnologiche dotate di un impatto pervasivo sulle strutture produttive come sulla quantità e qualità dei lavori; l’ apertura progressiva del mercato globale, che doveva allargare il “campo di gioco” dove si decidevano le politiche e si stabilivano le regole dell’economia, della finanza e quindi del lavoro L’operare di Su queste vicende, anche per ulteriori informazioni, rinvio a M Roccella, T Treu, Diritto del lavoro nell’Unione Europea, 6° ed., Padova, Cedam, 2012, p 22 ss questi due fattori, fra loro connessi, è penetrato così in profondità nelle strutture economiche e sociali dei nostri paesi da non essere ancora completamente percepita dagli attori nazionali, pubblici e privati, ed invero da non aver ancora espresso tutte le sue implicazioni Anche i più attenti di questi attori, abituati alle regole del lavoro elaborate nel contesto fordista basato su logiche lineari e uniformi, trovano difficoltà a ripensare tali regole in funzione del lavoro diversificato e volatile e dell’impresa rete che sono caratteristici delle economie terziarie informatizzate Queste difficoltà si acuiscono quando la ricerca di regole adatte alla nuova realtà economica non si può più svolgere nei tradizionali confini nazionali, tenendo conto delle dinamiche degli attori, privati e pubblici, dei singoli Stati, ma deve confrontarsi uno spazio sovranazionale sempre più invasivo e ignaro delle regole storiche dei paesi avanzati Questo cambiamento del campo di gioco è il fattore di maggiore discontinuità la tradizione degli ordinamenti del lavoro, più legati di altre aree del diritto confini nazionali Tale discontinuità e le criticità conseguenti si rivelano sconvolgenti per gli equilibri della nostra materia Gli istituti fondamentali del diritto del lavoro e delle relazioni industriali - dalla legge contratti collettivi - costruiti per regolare la concorrenza nei mercati nazionali e proteggerne i protagonisti, sono progressivamente spiazzati per il fatto che la concorrenza supera le barriere dei singoli Stati Tale spiazzamento è visibile già al torno del secolo, quando le economie europee sono rallentate, ma ancora in crescita La crisi aggrava ma non causa le difficoltà Ed è altrettanto rilevante che le difficoltà cominciano a crescere prima dell’entrata in vigore del sistema monetario europeo, quando gli ordinamenti nazionali godono ancora di una relativa autonomia decisionale e quindi di una qualche protezione dagli shock esterni Infatti la pressione competitiva esterna opera comunque sulle economie europee, acuendo la concorrenza di costi e di produttività fra i sistemi dei diversi paesi della comunità, di cui le relazioni industriali, il diritto del lavoro e il welfare sono parte integrante Il superamento della dimensione nazionale della nostra materia non solo ne indebolisce le strutture regolative, ma ne mette in discussione le stesse funzioni Spinge il diritto del lavoro e le relazioni industriali a occuparsi della competitività e a misurare la convergenza fra regole del lavoro e parametri di efficienza dei singoli sistemi nazionali nei confronti di quelli concorrenti.7 M R Pinero, La grave crisi del diritto del lavoro, cit., p ss.; così anche W Streeck, Le Relazioni Industriali oggi, cit., p 261 Il problema della “compatibilità” non è assente nelle elaborazioni teoriche, ma se non è eluso come nelle posizioni estreme del “salario variabile indipendente”, è ritenuto risolvibile all’interno dell’ipotesi della crescita continua, senza quei traumi resi palesi dalla crisi scoppiata alla fine dell’età dell’oro La rottura dei confini dello Stato nazione pesa analogamente sull’equilibrio delle relazioni industriali, in quanto impedisce “quel gioco di scambi e concessioni (che) riusciva quasi sempre a garantire risultati virtuosi e (ove) gli attori collettivi, specie quelli di tipo encompassing riuscivano a ritrovare soddisfazione propri ordini di preferenze o di aspettative”.8 Le implicazioni sono più vaste, perchè possono incidere sull’insieme degli equilibri della democrazia pluralista, se è vero che forti organizzazioni sociali autonome “sono necessarie per il funzionamento del processo democratico stesso, e per la riduzione del potere coercitivo del governo” e che i loro “processi di negoziazione e di compromesso sono il meccanismo che quasi sempre impedito la frammentazione del sistema pluralista da parte dei gruppi in competizione e l’insorgere di conflitti generalizzati e devastanti”.9 Anche gli effetti della crisi economica sono enfatizzati dai nuovi contesti della competitività globale, che permettono alle logiche di mercato di operare slegate dalle istituzioni politiche e sociali che le hanno finora regolate (embedded) La gravità e il propagarsi, tuttora senza esiti prevedibili, della crisi attuale ne sono una conferma drammatica Il rilievo dell’allargamento del campo di gioco oltre i confini nazionali, dove il diritto del lavoro e le relazioni industriali sono stati costruiti, è riconosciuto da tempo, come pure la conseguenza che le risorse per affrontare la crisi in atto, non solo delle regole del lavoro, ma dell’economia e della società nel suo complesso, sono sempre più bisognose di “ossigeno sovranazionale”.10 Ma le interpretazioni di questo ampliamento dei confini sui sistemi nazionali di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, e per altro verso sull’intera costruzione sociale europea, sono ancora straordinariamente incerte Le incertezze riguardano non solo l’impatto della globalizzazione su singoli aspetti della regolazione, sui vari settori del sistema produttivo e sulle aree sociali più esposte alla crisi, ma le sorti complessive delle istituzioni del lavoro negli ordinamenti capitalistici e quindi la caratterizzazione essenziale di questi.11 G P Cella, Mercato senza pluralismo Relazioni Industriali ed assetti liberal-democratici, relazione al convegno nazionale AIS.ELO, Università della Calabria, 27/28 sett 2012 G.P Cella, Mercato senza pluralismo, cit 10 M Carrieri, T Treu, Introduzione, in M Carrieri, T Treu (a cura), Verso nuove relazioni industriali, Mulino, ASTRID, 2013, in corso di pubblicazione 11 Le implicazioni di tale ampliamento dei confine per l’equilibrio e il funzionamento dei sistemi pluralisti e della stessa democrazia, sono ben illustrate in G.P Cella, Mercato senza pluralismo, cit La rilevanza dello “spazio” europeo e il dibattito sulle varietà di capitalismo La questione si pone in una dimensione mondiale, come sono i fattori che l’hanno determinata, ma assume caratteri specifici nei paesi europei, sia per la rilevanza centrale che il diritto del lavoro e le relazioni industriali e, in generale, i sistemi di welfare, hanno assunto nel modello sociale europeo rispetto ad altre varietà di capitalismo, sia perché la soluzione deve tener conto, oltre che delle capacità di resistenza dei singoli paesi, della rete di istituzioni sviluppate in oltre sessanta anni dalla Comunità e dall’ Unione La costruzione sociale e istituzionale attivata in Europa configura il primo ordinamento sovranazionale, sia pure parziale, elaborato in uno spazio intermedio fra gli Stati nazione e il lontano orizzonte globale: un ordinamento che presenta tratti comuni, favoriti da una relativa somiglianza delle istituzioni del diritto del lavoro e delle relazioni industriali dei paesi fondatori della comunità Si tratta quindi di un test di resistenza/adattamento di queste istituzioni alla crisi senza riscontro in altre aree del mercato globale Le macroregioni non europee, anche quando sono interessate a patti e regole comuni, non hanno ancora esteso tali regole alle istituzioni e rapporti del lavoro, i quali dunque si misurano direttamente il mercato globale, il solo fragile diaframma delle convenzioni dell’ILO.12 Il dibattito sulle tendenze dei sistemi di diritto del lavoro e delle relazioni industriali in un contesto di globalizzazione e ora di crisi, si collega a quello generale sulle varietà del capitalismo e sulla convergenza o divergenza fra i modelli istituzionali ed economici dei diversi paesi Le tendenze riscontrate negli ordinamenti nazionali del lavoro costituiscono un elemento cruciale per valutare gli andamenti delle varietà di capitalismo, a conferma delle centralità delle istituzioni del lavoro, non solo in Europa Le valutazioni tradizionali, prevalentemente improntate a un certo ottimismo circa la specificità dei sistemi nazionali e circa la loro convergenza nel progresso, stanno cedendo il passo a posizioni alquanto diversificate Come si è detto, gli osservatori oscillano fra un moderato ottimismo e un moderato pessimismo.13 Non mancano autori che segnalano la perdita di rilevanza se non la dissoluzione dei modelli nazionali, sotto la pressione della concorrenza e della crisi globale Dal che si traggono conseguenze non univoche: il prodursi di dualismi fra i sistemi dotati di 12 Su questi aspetti cfr B Hepple, Diritto del lavoro, diseguaglianze e commercio globale, in GDLRI, 2003, p 27 ss.; v A Perulli, Diritto del lavoro e globalizzazione, Padova, Cedam, 1999; F Onida, 2009, Standard sociali e del lavoro nella rule of law internazionale, in G Amato (a cura), Governare l’economia globale nella crisi e oltre la crisi, Roma, Passigli, p 215, ss 13 M Ferrera, From neoliberism to liberal neo welfarism?, Centro Einaudi, Working Paper, LPF, 2, 2012 diversa capacità di resistenza/reazione a tali pressioni, ovvero il profilarsi di una convergenza delle istituzioni e dei capitalismi nazionali in senso neoliberale.14 Un cenno va fatto alla questione generale riguardante le dinamiche di trasformazione delle istituzioni nelle economie avanzate, questione anch’essa controversa, la cui attualità è acutizzata dalle pressioni esercitate dalla crisi sui vari modelli di capitalismo, compresa la variante delle “economie coordinate di mercato” Ricerche recenti hanno fornito indicazioni per individuare le direzioni di cambiamento delle istituzioni prodotte non solo da shock esterni, ma anche da sollecitazioni interne e per verificare le condizioni alle quali i cambiamenti interni si producono e possono diventare “cumulativamente trasformativi”, anche se non espressi in discontinuità improvvise Tali indicazioni intendono correggere alcuni aspetti, ritenuti troppo “statici”, delle tesi tradizionali sulle varietà di capitalismo.15 Anche coloro che continuano a confidare nella capacità delle istituzioni e degli attori nazionali di determinare le regole del lavoro e i modelli sociali, pur a fronte degli accresciuti vincoli esterni, riconoscono che l’autonomia dei sistemi nazionali è sottoposta a una forte erosione dalla pressione dagli stessi fattori esterni Ne traggono la conseguenza che tale pressione può condurre al declino delle relazioni industriali, come le abbiamo conosciute, all’indebolimento degli istituti di tutela del lavoro e alla riduzione del welfare costruito nel secolo scorso; a meno che le istituzioni e gli attori nazionali non siano sostenuti, o in prospettiva sostituiti, da forti sponde sociali e istituzionali collocate allo stesso livello sovranazionale 16 14 L Baccaro, C Howell, Il cambiamento delle relazioni industriali nel capitalismo avanzato: una traiettoria comune in direzione neoliberista, in M Carrieri, T Treu, Verso nuove relazioni industriali, cit., in corso di pubblicazione; cfr per un’analisi scettica sulla capacità dell’Europa di controllare le spinte divaricanti indotte dalla concorrenza, W Streeck, Il modello sociale europeo: dalla redistribuzione alla solidarietà competitiva, in SM, 2000, p ss.; v anche F Scharpf, The European social model: coping with the challenge of diversity, in JCMS, 2002, p 663 15 Cfr W Streeck e K Thelen, Introduction, in Institutional change in advanced political economies, in W Streeck, K Thelen Ed., Beyond Continuity: Institutional change in advanced political economies, OUP, 2005, p 1- 39; più di recente K Thelen, Institutional change in advanced political economies, BJIR, 2009, p 471 ss.; C Howell- R Kolins Givan, Rethinking institutions and institutional change in European Ind Rel., BJIR, 2011, p 231-255; nonché W Streeck, Reforming capitalism, 2010, p ss.; il quale sulla base di premesse simili ritiene fuorvianti o limitative le impostazioni correnti sulla convergenza/divergenza fra modelli, in particolare fra sistemi europei del lavoro e delle Relazioni Industriali A queste posizioni si riferisce anche M Heidenreich, The open method of coordination, in M Heidenreich, J Zeitlin (eds.), Changing European employment and welfare regimes The influence of the open method of coordination on National reforms, Routledge, London, N.Y., 2009, nella sua analisi dell’impatto dell’OMC sul cambiamento istituzionale (p 10 ss.) 16 Cfr ad es Bryson-Ebbinghaus-Visser, Introduction: causes, conseguences and cures of Union decline, in Queste valutazioni, applicate agli ordinamenti dei paesi europei, presentano connotazioni particolari per il fatto che l’impatto della globalizzazione e della crisi sui singoli sistemi nazionali, incontra, o dovrebbe incontrare, lo schermo dell’ ordinamento comunitario La rilevanza di questo schermo ordinamentale è legata alle vicende della costruzione sociale europea e risente quindi della sua contrastata evoluzione I vincoli indotti dai fattori citati – globalizzazione e crisi - hanno cambiato in radice la funzione dell’acquis communautaire e delle istituzioni europee del lavoro in questa materia Non è più in gioco tanto o solo la capacità di armonizzare sistemi nazionali fra loro relativamente autonomi in direzione di comuni buone pratiche, ma la capacità di mantenere orientamenti propri in un confronto inedito modelli economico/sociali diversi, e la pressione della concorrenza globale L’ipotesi sottesa alla costruzione europea fin dall’inizio, e rafforzata dopo l’avvio del mercato unico e dell’ Euro, era che la crescente integrazione economica avrebbe permesso all’area comunitaria di mantenere alta la sua capacità competitiva nell’arena internazionale e per questa via di sostenere il proprio sistema di diritto del lavoro e di welfare e di proteggerlo dagli shock esterni.17 Senonchè l’ipotesi che fidava nelle ricadute anche socialmente positive dell’integrazione economica, quale che ne fosse il fondamento originario, è stata sottoposta allo stesso test di resistenza cui sono soggetti i singoli sistemi nazionali E, come si vedrà subito, l’andamento del test a livello europeo, presenta elementi di incertezza non minori di quelli che circondano le vicende nazionali Un punto rilevante per il nostro discorso sta nella specificità dell’ordinamento sociale europeo: per un verso a motivo della incompletezza delle istituzioni del lavoro del welfare e delle relazioni industriali, che presentano diversi gradi di integrazione e sovrapposizione rispetto diritti nazionali; per altro verso per la asimmetria originaria fra la dimensione sociale e la dimensione economica dell’Unione, che fanno capo a ordini diversi di competenze e di politiche Le asimmetrie delle istituzioni europee: le debolezze della regolazione legale e collettiva Questa asimmetria rispecchia com’è noto la distinzione fra autonomia regolatrice degli Stati in materia sociale e competenze europee per l’integrazione nella sfera del mercato Tale distinzione European Journal of Rel Ind., 2011, 17 (2), p 171-187 17 Il rilievo è comune e l’ipotesi si fonda su indicazioni degli stessi trattati fondativi europei; v da ultimo A Hemerijck, Changing welfare States, 2012, OUP, p 74 ss.; e W Streeck, Le relazioni industriali oggi, cit., p 255 ss, ID, Neovoluntarism: a new European social policy regime?, European law journal, 1995, p 31 ss che è stata ritenuta utile, largo consenso, dalle posizioni “europeiste”, non impedito il riprodursi e di influenze reciproche secondo la peculiarità dell’ordinamento plurilivello Da una parte le politiche comunitarie si sono orientate vari strumenti all’armonizzazione (nel progresso) dei sistemi sociali nazionali, dall’altra le politiche di liberalizzazione perseguite dalle istituzioni dell’Unione e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia hanno inciso in senso variamente restrittivo sugli assetti sociali dei singoli paesi La rilevanza e il segno di questi influssi reciproci sono oggetto di valutazioni diverse che corrispondono a contrastanti giudizi complessivi della costruzione europea L’indebolirsi della spinta comunitaria all’armonizzazione sociale, la crescente influenza delle logiche di mercato, portato secondo alcuni a una “invadenza” di queste, effetti limitativi nell’autonomia dei sistemi sociali: condotto questi autori se non a rimpiangere la vecchia logica della separazione, certo a sottolinearne più i rischi che gli aspetti virtuosi In realtà la costruzione risente di spinte contrastanti, che agiscono a livello sia comunitario sia nazionale esiti diversi, che risentono dei variabili equilibri, politici e sociali, interni ed esterni, della Unione e che dipendono dalle strutture dei campi nazionali Una valutazione complessiva della costruzione europea, che non assolutizzi singoli elementi anche importanti, come fanno gli autori più critici, o “pessimisti”,18 sul futuro dell’Europa sociale non avvalora la conclusione di un inevitabile prevalere delle logiche di mercato, tollerate se non avallate, dalle istituzioni dell’Unione, la marginalizzazione dell’agenda sociale Segnalano piuttosto come le diverse politiche europee non siano state prive di incidenza sui modelli sociali nazionali, portando a forme diffuse di ibridazione positiva fra gli stessi, ancorchè esiti alterni, in dipendenza di fattori sempre provvisori, in quanto oggetto di contesa politica e sociale Nonostante la variabilità dei rapporti fra questi diversi aspetti dell’integrazione europea è un fatto 18 Cfr S Giubboni, Cittadinanza, lavoro, e diritti sociali nella crisi europea, versione italiana della relazione al convegno European Citirenship, twenty years on, Uppsala, 21-22 marzo 2013; L’A dà un rilievo decisivo al “quartetto” di decisioni della Corte di giustizia sui diritti collettivi, che avrebbe capovolto l’equilibrio originario dei rapporti fra unificazione dei mercati e autonomia dei sistemi sociali nazionali; anzi che avrebbe segnato il passaggio da una concezione orto liberale a una visione neoclassica del mercato interno, (citando in proposito S Deakin, The Lisbon Treaty, the Viking and Laval judgement and the financial crisis: in the search of New Foundations for Europe’s social market economy, in N Bruun et al (eds.), The Lisbon Treaty and social Europe, Oxford-Portland (Oregon), Hart Publ., 2012, p 19-21 ss.; e vedi anche S Giubboni, A Lo Faro, Crisi finanziaria, governance economica europea e riforme nazionali del lavoro: quale connessione?, in Nuove regole dopo la legge 92/102 di riforma del mercato del lavoro, competizione versus- garanzie?, Giappichelli, 2013, p 44.In realtà, come si dirà oltre, tali decisioni non hanno un impatto così drastico sull’autonomia decisionale degli Stati; inoltre ad esse gli autori attribuiscono una rilevanza eccessiva che fa perdere di vista l’equilibrio complessivo del sistema comunitario e la resilience dei suoi assetti sociali; tanto più di quelli caratteristici dei paesi del contro-nord Europa, dove l’economia sociale di mercato è più radicata che la richiamata asimmetria19 non è stata formalmente superata, perché, anche dopo le modifiche recenti dei Trattati, le competenze dell’unione in materia sociale sono rimaste limitate ed espresse per lo più tramite le varie forme di coordinamento Si tratta di un assetto istituzionale che influito non poco – anche a non volerlo sopravvalutare - sugli assetti sociali degli stati membri e sulle loro tendenze alla convergenza/divergenza Tanto più che l’effettività degli interventi è stata affidata variabili equilibri realizzabili all’interno delle istituzioni comunitarie e spesso al margine di queste La variabilità, come vedremo, è evidente in molti aspetti della nostra materia; ad es il processo di integrazione dell’ordinamento europeo registrato progressi maggiori in alcune aree del diritto individuale del lavoro, investendo poco o nulla l’area dei diritti collettivi e del welfare.20 Inoltre la trama e l’efficacia regolativa delle regole comunitarie sono diverse da quelle dei diritti nazionali cui le analisi comparate sono avvezze a misurarsi I limiti, o l’autolimitazione, delle competenze comunitarie in materia sociale e del lavoro, scritte nei Trattati e tuttora presenti, hanno privato l’ordinamento europeo di quell’efficacia diretta e inderogabile che caratterizza i diritti del lavoro nazionali Anche lo strumento della direttiva, più vicino alla nostra hard law, richiede di essere trasposto negli ordinamenti nazionali margini di adattabilità più o meno ampi, lasciati alle scelte dei vari legislatori, solo parzialmente controllate dalla controversa portata delle clausole di non regresso Talora le maglie normative sono state lasciate volutamente larghe, specie nelle direttive più recenti, che risentono delle difficoltà delle mediazioni intergovernative e della spinta verso forme di regolazione leggera, che non risparmia la costruzione sociale europea 21 19 Per un’analisi fortemente critica sull’andamento e sugli esiti di questa asimmetria e dell’integrazione europea “through law”, vedi in particolare F Scharpf, The asimmetry of European integration, or why the EU cannot be a “social market economy” , Socio Economic Review, 2010, 8, p 211 ss L’A., in risposta alle critiche rivoltegli di determinismo, precisa che il suo intendimento è di rendere gli attori impegnati per l’europeizzazione più consapevoli degli ostacoli strutturali da superare se vogliono creare una economia sociale di mercato a livello europeo, e di dare argomenti per difendere i sistemi dei paesi centro- nord europei dove questa economia si è affermata, dalle tendenze liberalizzatrici indotte soprattutto dalle tendenze della Corte di giustizia L’A sottolinea anche il ruolo delle Corti Cost nazionali, specie quella tedesca, nel difendere gi elementi centrali dell’identità costituzionale del proprio paese (p 242), ma denuncia il rischio che simili difese nazionali portino a forme di integrazione differenziate all’interno dell’Unione fino a possibili “unilateral National opt-outs” Scharpf ritiene che tale rischio possa contrastarsi procedure atte a facilitare “the mutual accomodation of European and National concern”, basata sulla possibilità dei governi dell’Unione di appellarsi loro pari nel Consiglio europeo, qualora il diritto comunitario possa pregiudicare “politically salient National concerns” Egli propone giustamente una procedura intergovernativa piuttosto che giudiziaria, come ipotizzato da altri, ma mentre è pessimista sulla possibilità di intese volte a promuovere una economia sociale di mercato a livello europeo, ritiene più plausibili accordi limitati a iniziativa degli Stati interessati a difendere il nucleo di un simile sistema a livello nazionale 20 Cfr per specificazioni e commenti: M Roccella, T Treu, Diritto del lavoro della Comunità Europea, cit., p 22 ss 21 M Barbera, Diritti sociali e crisi del costituzionalismo europeo, in WPCSDLE M D’Antona, int 95/2012, p.4, rileva peraltro che “quando sono in opera norme di carattere hard , sia pure nella forma di principi generali e diritti 10 vicende europee: è questo un insegnamento politico-culturale e delle esperienze europee di benchmarking e dell’applicazione, pur faticosa, del MAC Un ripensamento sia pure iniziale è in corso circa gli strumenti di implementazione delle guidelines sociali europee e del MAC che ne è il meccanismo principale Esso si è tradotto in varie proposte, avallate dalle istituzioni comunitarie, intese a rafforzarne la capacità di incidere sugli ordinamenti nazionali del lavoro e del welfare Ad es si sono progressivamente resi più selettivi e precisi i target da raggiungere: non solo quelli generali - tassi di occupazione e disoccupazione - come si è fatto per il Consiglio di Lisbona del 2000 e poi le indicazioni della Strategia Lisbona 2020, ma anche quelli specifici e strumentali al raggiungimento dei primi, come si è fatto solo in parte Inoltre possono essere costruite forme di raccordo fra il coordinamento aperto e i diritti sociali fondamentali L’aggancio della “fragile zattera” dell’OMC fondamentali 190 è stato sostenuto al solido approdo per la sua capacità di evitare che gli spazi dei diritti aperti dal coordinamento permettano agli Stati di imboccare una regulatory competition in direzione deregolativa Secondo altre varianti tale aggancio potrebbe agire non solo come correttivo ex post, ma anche come quadro di riferimento ex ante, in grado di condizionare la stessa impostazione dell’OMC.191 Alla peer review dei risultati del MAC è stata attribuita crescente rilevanza, elevandola da strumento di controllo da parte delle burocrazie di Bruxelles a una revisione periodica al massimo livello istituzionale nei cd vertici sociali triennali Questi dovrebbero essere preparati la predisposizione di sintesi tecnico-politiche dei risultati raggiunti dai vari Stati, quali è fatto obbligo, anche per questo, di redigere i piani di azione nazionale L’efficacia di questi strumenti richiederebbe di essere meglio sostenuta adeguati strumenti di monitoraggio e di controllo dell’Unione sull’implementazione delle guidelines, e prima ancora la definizione di indicatori affidabili per misurare gli adempimenti richiesti, nella loro qualità e quantità Tali rafforzamenti strumentali, essenziali per l’efficacia del coordinamento, sarebbero 190 L’espressione è di A Andronico- A Lo Faro, 2004, Implementing solutions or defining problems?, in Social Rights and market forces: the implementation of foundamental social rights in the European simple market 191 Cfr le diverse posizioni: fra i primi F Scharpf, The European Social model: coping with the challenge of diversity, JCMS, 2002, p 662; e i commenti di A Lo Faro, Coordinamento aperto e diritti fondamentali: un rapporto difficile, in M Barbera ed., Nuove forme di regolazione, cit p 358 ss , che solleva dubbi sulla possibilità di usare i diritti fondamentali come correttivo del MAC, e, in senso più possibilista: S Giubboni, La costituzionalizzazione asimmetrica dell’Europa sociale, ivi, p 367 ss.; nonché M Barbera, Nuovi processi deliberativi e principio di legalità nell’ordinamento europeo, ivi, p 306 ss; D Ashagbor, L’armonizzazione soft, ivi, cit., p 118.; C Pinelli, I rapporti economico-sociali fra Costituzione e Trattati europei, in C Pinelli, T Treu (a cura), La costituzione economica: Italia, 73 utili per tutte le aree della politica sociale: dalle politiche di occupazione - dove il metodo del coordinamento è più sperimentato - a quelle della protezione sociale, alla gestione dei Fondi strutturali Un’altra strada per rafforzare la strategia Europa 2020 è stata la previsione di un più stretto coordinamento fra le procedure per la implementazione delle politiche dell’occupazione e gli strumenti per l’attuazione dello Stability and growth pact (SGP) E’ previsto che tale coordinamento debba riflettersi nei programmi nazionali di riforma ed essere verificato al più alto livello istituzionale in occasione dello Spring European Council Questo nuovo quadro di “governance coordinata” può favorire un maggior ruolo delle politiche sociali nel contesto delle politiche europee, superando una sfasatura più volte denunciata come fonte di marginalità delle prime alle seconde Si è peraltro rilevato il rischio che viceversa questa nuova struttura di coordinamento riduca la voce delle istanze sociali, a cominciare da quelle provenienti dai piani nazionali, in quanto inserite in un contesto istituzionale - il semestre europeo – dominato da preoccupazioni economiche o finanziarie 192 Procedere a verifiche politiche dell’andamento del MAC è coerente la sua logica, perché il successo di uno strumento così delicato è legato alla sua credibilità non solo tecnica ma politica: ma è esposto al rischio di essere inficiato proprio su questo piano Lo si è verificato persino nell’operare dei criteri di bilancio fissati a Maastricht, che, pur essendo provvisti di sanzioni ben più stringenti di quelli del MAC, sono stati sospesi, in realtà violati, quando lo hanno richiesto le ragioni avanzate dagli Stati forti dell’Unione, Francia e Germania Tale vicenda conferma come le criticità dell’ordinamento sociale europeo non sono procedurali, ma dipendono da debolezze dell’impianto istituzionale dell’Unione e dalla qualità della integrazione sociale e politica, non solo economica, da realizzarsi nella Comunità 27 Modificare lo statuto dell’Agenda sociale Per questo si ripropone la domanda su quanto possa durare la resistenza fin qui manifestatesi dall’ acquis communautaire, e ancora a monte 192 74 K Armstrong, EU social policy, cit., p 290 ss se sia sufficiente rafforzare il sistema di coordinamento comunitario o se invece sia necessario modificare lo Statuto dell’ Agenda sociale nell’assetto costituzionale europeo, mettendo in discussione la asimmetria rilevata all’inizio fra dimensione economica, sociale e politica dell’Unione La soluzione del collegamento debole – loose-coupling se non de-coupling - fra politiche economiche, su cui interviene la Comunità, gli orientamenti restrittivi più volte ricordati, e politiche sociali, di competenza nazionale si rileva sempre più inadeguata a promuovere l’integrazione sociale ed economica e contraccolpi sull’intero assetto sociale e sulla stessa stabilità politica dell’Unione.193 La gravità di tale impostazione si è riscontrata già prima della crisi attuale, i terremoti politici avvenuti in Francia e in Olanda nella primavera del 2005, le minacce e i rifiuti referendari che si susseguono, che sono segnali allarmanti di tendenze nazionalistiche e centrifughe.194 Affrontare queste criticità implica riconsiderare l’ipotesi assunta all’origine della Comunità che la integrazione realizzabile la creazione del mercato unico, i conseguenti guadagni di efficienza possa sostenere anche il progresso sociale, meglio di quanto possano fare i sistemi nazionali e garantirne la capacità di adattamento e di autoriforma Infatti proprio la unilateralità del processo di integrazione inficiato l’ipotesi iniziale, provocando squilibri crescenti fra i due assi comunitari della integrazione dei mercati e della convergenza nel progresso dei sistemi sociali I singoli ordinamenti di diritto del lavoro e i welfare nazionale si sono trovati in una situazione impossibile, del tipo “Catch 22”, in quanto il procedere dell’integrazione monetaria, hanno visto restringersi la loro autonomia e le loro risorse, mentre non hanno potuto beneficiare della messa in comune delle risorse comunitarie, oltre quanto disponibile dai deboli fondi strutturali 195 Si è visto come i paesi più esposti agli shock competitivi e finanziari esterni, non potendo ricevere aiuti dall’Unione, sono sospinti a praticare politiche economiche restrittive, di varia entità, che convergono nel produrre forme di vera e propria “internal devaluation” Per altro verso la crescente competizione fra i sistemi nazionali, indotta dalle pressioni globali non 193 Non a caso tale valutazione è prospettata da autori di diversa estrazione disciplinare e culturale Cfr P Pierson, The welfare state over the very long run, ZeS Working paper, 02/2011, si domanda se l’impatto della crisi finanziaria globale non ecceda la capacità di trasformazione e adattamento dei sistemi di welfare europeo Lo stesso A Hemerijck, Changing welfare states, cit., p 373 ss., solleva questo dubbio nelle ultime preoccupate pagine della sua opera; C Barnard, The context, European law Journal, 2012, p 41., p 113, prospetta una situazione in cui sistemi di diritto del lavoro nazionali; cfr anche, altri argomenti, W Scharpf, The asymmetry, cit 194 M Ferrera, Amici o nemici?, cit., p 19 195 A Hemerijck, Changing welfare states, cit., p 292 ss., ma il rilievo è comune 75 è stata sufficientemente corretta da un governo europeo debole e di recente dominato da orientamenti se non liberisti, certo “austerity minded” Con la conseguenza che la pressione della concorrenza e dell’austerità si è scaricata sugli ordinamenti statali mettendone a rischio la tenuta E’ questa situazione di asimmetria e di integrazione “solo funzionalista e negativa”, che rende precarie le acquisizioni europee nelle materie sociali e del lavoro, perché queste sono le più esposte alla competizione globale e alla crisi e sono sostenute nella Agenda comunitaria minore convinzione politica e strumentale più debole di quanto non siano le questioni economiche Per questi motivi di fondo, anche al di delle difficoltà contingenti, e del peso delle attuali politiche di austerità, il percorso dell’Europa sociale si è arrestato e rischia di entrare in una fase di regresso La speranza che la crisi e la prova negativa delle politiche liberiste fin qui attuate in vari paesi non solo europei, possano generare una pressione verso una maggiore integrazione europea, non sembra finora materializzarsi Al contrario le difficoltà degli Stati hanno generato reazioni nazionalistiche nei sistemi nazionali, da cui non sono esenti neppure gli attori sociali come le organizzazioni sindacali, che dovrebbero essere i più interessati a una integrazione positiva 196 28 Nuovi orientamenti economici e di welfare Se è vero, come si riconosce largamente, che la crisi segnala un’impasse non solo economicofinanziaria ma politica del processo europeo, la risposta non può riguardare solo le istituzioni del lavoro, ma coinvolge la intera configurazione dei rapporti politici e civili negli Stati e nella comunità Richiede un mutamento degli orientamenti fin qui dominanti per cui i cittadini europei e le loro istituzioni non sono finora stati pronti a rinunciare alle loro identità nazionali - politiche e sociali – in favore di un più forte spazio sociale e politico europeo.197 Ma per tornare al nostro tema più limitato, un rafforzamento del ruolo dell’Europa nelle materie del lavoro e del welfare presuppone, come si è detto, una “appropriata riconciliazione” fra il mercato unico e le politiche sociali europee.198 Vanno peraltro precisati gli obiettivi su cui tale riconciliazione 196 C Crouch, The financial crisis, a New chance for the labour movement? Not yet, in Socio Econ Review, 2010, 8, p 353 ss 197 A Hemerijck, Changing welfare states, cit., p 81 e p 378; S Berger, Troubleshooting economic narratives, in A Hemerijck, B Knapen, E van Doorn (eds), Aftershocks, cit., p 93 ss, 2009; e in generale S Berger, R Dore (eds), National diversity and global capitalism, Ithaca, NY Cornell University Press, 1996 198 L’urgenza di questa riconciliazione è sottolineata nel rapporto Monti al presidente Barroso, A new strategy for the single market, 2010 76 deve realizzarsi, perché sia “appropriata”, nonché quali siano gli attori istituzionali e sociali capaci di promuoverla Il che rinvia alla questione generale già menzionata della qualità dell’integrazione europea Le coordinate di politica economica su cui orientare tale riconciliazione sono al centro del dibattito europeo, ma sono alquanto controverse, come risulta dalle tormentate e tuttora poco conclusive vicende dei summit di governo succedutisi in questi anni di crisi Alcune recenti prese di posizione sopra ricordate – da ultimo Consigli europei del giugno e del dicembre 2012 - contengono timidi segnali positivi, laddove propongono politiche di sostegno alla domanda e alla occupazione e misure in direzione di una più stretta integrazione fiscale e politica dell’Unione Inoltre disegnano una nuova strumentazione per rafforzare il coordinamento e la convergenza nelle politiche economiche fra gli Stati membri; in particolare prevedendo accordi contrattuali (contractual arrangement) associati a un meccanismo di solidarietà e di sostegno finanziario per le riforme strutturali a favore della competitività e della crescita, accordi che dovranno essere avviati dal Consiglio generale previsto per il giugno 2013 Ma i continui rinvii dei propositi annunciati segnalano la difficoltà di questi indirizzi a prevalere sugli orientamenti restrittivi di politica finanziaria che sono tuttora dominanti Le linee di politica sociale sono altrettanto contrastate Anche qui alcuni indirizzi comunitari indicano piste promettenti, che andrebbero rafforzate e sostenute nella loro implementazione, specie nelle aree deboli della Comunità Il persistere della crisi enfatizza i bisogni di sicurezza dei lavoratori e dei cittadini europei; rafforza quindi l’esigenza che le politiche di flexicurity e quelle di attivazione non siano indebolite nella capacità di rispondere a tali bisogni, dalle pressioni per una maggiore flessibilità, non solo lavorativa ma sociale, 199 quella che traspare spesso nei documenti nazionali ed europei Ancora più pressante è la necessità di ricalibrare le politiche di welfare per fronteggiare la nuova emergenza della povertà fra fasce crescenti di lavoratori, oltre che fra i disoccupati e le persone sole L’impegno a rilanciare le politiche di contrasto alla povertà e per l’inclusione sociale, a fronte della minaccia della crisi, sarebbe in grado di attivare “il maggior potenziale di legittimazione per la UE”.200 In realtà le urgenze della crisi sollecitano non solo una revisione delle politiche sociali degli Stati, ma interventi diretti delle istituzioni comunitarie, specie nelle aree dove la loro azione è 199 200 77 W Streeck, Le relazioni industriali oggi, cit., p 265 M Ferrera, Amici o nemici?, cit., p 20 stata finora più debole e dove è drammaticamente sollecitata dalla crisi, a cominciare dal welfare e dal sostegno all’occupazione Le sollecitazioni in questo senso hanno trovato ostacolo nei limiti delle competenze comunitarie, nonchè nella resistenza di molti Stati e talora nella tiepidezza degli stessi attori sociali Ma che il limite delle competenze non sia insuperabile è comprovato dai molteplici interventi comunitari condotti al margine di tali competenze e dai provvedimenti di carattere finanziario presi in questi anni di crisi, pure al margine delle procedure comunitarie, che hanno inciso profondamente sulle decisioni dei governi nazionali in materie di loro competenza Si tratta di esempi moltiplicatisi proprio in questi anni di crisi, che confermano la incisività delle iniziative dei governi europei, specie decisioni intergovernative, al di della asserita debolezza delle istituzioni comunitarie 29 Standard sociali di base D’altra parte gli strumenti di influenza dell’Unione non consistono necessariamente nella imposizione di standard comuni sulle condizioni di lavoro e di welfare per via legale, come era nelle tradizionali forme di armonizzazione Altre soluzioni sono state proposte e in parte sperimentate In particolare il rafforzamento dei meccanismi del MAC può essere diretto a promuovere la implementazione dei diritti sociali fondamentali negli ordinamenti nazionali A tal fine si è proposto di combinare l’uso del MAC il ricorso a direttive quadro contenenti alcuni standard comuni, differenziati in relazione al grado di sviluppo dei diversi sistemi di welfare 201 Inoltre la promozione di standard sociali minimi, auspicata anche dalla Commissione, può essere realizzata in modo progressivo, cominciando dagli standard più diffusi, attraverso accordi fra i singoli Stati membri, a partire da quelli dove si sono manifestate divergenze applicative più acute e che sono esposti a più dirette forme di integrazione/concorrenza economica: vedi gli 201 202 T Wilthagen ed., Flexicurity and path ways: report by the expert group on flexicurity, Bruxelles, 2006 F Scharpf, The European social model: coping with the challenge of diversity, in JCMS, 2002, p 663; S Sciarra, Transnational and European ways forward for collective bargaining, in WP C.S.D.L.E “Massimo D’Antona”, INT73/2009; E Ales, La contrattazione collettiva transnazionale fra passato, presente e futuro, in DLRI, 2007, cit., p 541 ss 203 M Ferrera, Solidarity beyond the nation state? Reflections on the European experience, in URGE WP, n.2/2008; inoltre sosterrebbe la prospettiva di “federalismo solidaristico” che è insieme presupposto e orizzonte della costituzionalizzazione dei diritti sociali fondamentali nell’ordine legale europeo: S Giubboni, Social rights, cit., p.18 78 esempi ricordati di intese transnazionali sulle condizioni di lavoro nel settore dei trasporti marittimi conclusi per rispondere alle decisioni della Corte di giustizia in materia di sciopero e di contrattazione collettiva Accordi del genere possono essere sostenuti dall’Unione, senza esorbitare dalle sue competenze, appositi incentivi e risorse finanziarie, anche collegati a clausole commerciali Le parti sociali, nazionali ed europee, possono contribuire al medesimo obiettivo, concludendo accordi a livello transnazionale o comunitario, diretti a rafforzare le pratiche sociali in vigore, ad es migliorando il trade off fra flessibilità, tutele del reddito e dell’occupazione.202 Queste sperimentazioni potrebbero porre le basi per azioni più incisive delle istituzioni comunitarie per la diffusione degli standard sociali di base, anche sanzioni normative, che sarebbe sostenuta da un consenso largo o unanime (nelle materie in cui l’unanimità è richiesta dal Trattato) Un simile processo di diffusione progressiva degli standard sarebbe in linea altre forme di “incremental social transnationalism /supranationalism” o di “solidarity across the borders”, 203 che si stanno sperimentando in altri casi di integrazione regionale e che sono conformi alle indicazioni dell’OIL sui “core labour standards” Sarebbe un segnale politico che permetterebbe di rilanciare il potenziale simbolico del MAC e di valorizzare i tanti aspetti positivi dell’ acquis comunitario tradizionale.204 Un’area critica per l’intervento diretto dell’Unione, sollecitato dall’emergenza della crisi, è quella delle tutele in caso di disoccupazione/inoccupazione Simili istituti di tutela, fino a forme di reddito minimo garantito sono presenti in quasi tutti i paesi europei E non è neppure impossibile identificare una base giuridica per un intervento dell’Unione in materia Si è ritenuto infatti che l’art 153 TFUE lett 4, relativo al settore dell’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro è sufficientemente vago, o ampio, per coprire sia il caso dei disoccupati che quello dei soggetti in cerca di prima occupazione.205 In ogni caso è significativo che in questi ultimi mesi si stiano moltiplicando le voci di osservatori e di politici di vario orientamento a favore della introduzione di un qualche istituto di reddito minimo a livello europeo, pagato fondi comunitari Sarebbe una manifestazione concreta di 2 204 M Ferrera, Amici o nemici?, cit., p 21 05 G Bronzini, Le politiche europee, cit p 345 Una analisi delle esperienze e dei costi delle forme di reddito minimo in Europa si trova in B Cantillon, van Merschelen, On antipoverty policy, minimum income protection and the European social model, in B Cantillon, H Verschueren, P Ploscar, eds., Social Inclusion, cit., p 173 ss 79 solidarietà comunitaria che seguirebbe e “compenserebbe” quelle realizzate gli interventi di salvataggio delle banche in difficoltà Servirebbe a correggere, anche di fronte all’opinione dei cittadini colpiti dalla crisi, l’asimmetria fra interventi finanziari e sociali dell’Unione Aiuterebbe ad ammortizzare i costi sociali della crisi specie nei paesi del sud Europa, fra cui il nostro, senza alimentare meccanismi perversi che premiano i governi meno rigorosi inclini a spendere di più Un’altra emergenza riguarda la drammatica situazione dell’occupazione: una vera “job catastrophe”, denunciata anche in paesi, come gli USA, meno colpiti dei nostri dalla disoccupazione Si è già rilevato come i recenti testi della Commissione contengano indicazioni innovative non solo a favore di interventi dal lato dell’offerta - fin qui prevalente nelle prassi europee - ma anche per il sostegno alla domanda e per azioni di politica industriale e fiscale, labour friendly, finora largamente sottovalutati Gli interventi comunitari in questa materia si sono concretati soprattutto nell’utilizzo e nel rafforzamento dei fondi strutturali, a cominciare dal fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, lanciato nel 2006 (ma a scadenza nel 2013), per sostenere lavoratori e imprese colpiti dalle crisi internazionali, e dal FSE, meglio finalizzato a sostenere le politiche di flexicurity Il bilancio europeo, in particolare tramite i vari fondi strutturali, è uno strumento importante per sostenere le riforme nazionali, in particolare le politiche del lavoro e dell’occupazione ma anche, più latamente, le politiche di coesione Fin dal 2007 - e fino al bilancio 2014-2020 - si è si è deciso di concentrare l’uso di tali fondi sugli obiettivi di Lisbona e sulle politiche di coesione, in particolare per la loro implementazione nei paesi più deboli dell’Unione, fra cui l’Italia 206 La finalizzazione a tali obiettivi richiesto nel tempo adattamenti e modifiche per ottimizzare l’impiego delle risorse di tali fondi e del bilancio europeo Ne dà conto il cd rapporto Barca 207 che contiene un ambizioso progetto di riforma delle strategie e degli strumenti per aggiungere i nuovi obiettivi In particolare il rapporto propone di dare priorità al rafforzamento della produzione di beni pubblici e alla costruzione di una Agenda sociale territoriale come parte delle politiche di coesione, che persegua insieme finalità di sviluppo economico e sociale 206 Cfr la guida per l’uso dei Fondi 2014-2020 nel cd Social investment package, comunicazione della Commissione, Brussel, 20.2.2012, CO (2013), 83 final; e Armstrong, EU social policy, cit., p 291; M Heidenreich, The open method of coordination, cit., p 22, ricorda che nel periodo 2007-2013 lo stanziamento di tali fondi ammontano a 347 MLD di Euro 207 An Agenda for a reformed cohesion policy A palace based approach to meeting European Union challenges and expectation, April 2009 208 Cfr il caso italiano nel contesto europeo nella ricerca AREL, F Boccia, R Leonardi, E Letta, T Treu, I mezzogiorni d’Europa Verso la riforma dei fondi strutturali, Mulino, Bologna, 2003 80 L’efficacia degli incentivi finanziari così mobilitati sulle condizioni economiche e sociali, dei vari paesi è peraltro oggetto di valutazioni incerte 208; inoltre le decisioni più recenti del Consiglio che hanno comportato una riduzione complessiva del bilancio dell’Unione indeboliscono le possibilità di utilizzare risorse europee per la crescita e per l’occupazione La implementazione delle indicazioni ricordate nei contesti nazionali richiederebbe interventi e finanziamenti più consistenti di carattere non settoriale, che indicassero una convergenza delle politiche economiche e sociali verso l’obiettivo prioritario dell’occupazione, e che fossero adeguate agli ambiziosi obiettivi fissati da Europa 2020 della crescita intelligente, sostenibile e inclusiva Non a caso si richiamano come parametri di riferimento, che sarebbero necessari, esperienze storiche quali il New Deal e le ipotesi (incompiute) del patto per la competitività, la crescita e l’occupazione di Delors Il perseguimento di questi obiettivi implicherebbe una discontinuità le impostazioni restrittive sostenute dai vertici europei e le traiettorie economiche prevalenti in molti paesi, a cominciare dai partner forti della Comunità 209 La difficoltà del percorso è confermata dalle resistenze manifestatesi nei summit europei ad adottare proposte, sia pure parziali, in tale direzione, come gli Eurobond Il maggior impegno, anche finanziario, richiesto da politiche sociali e dell’occupazione innovative implica una rigorosa selettività degli interventi; ma in ogni caso un quadro di politiche comuni più orientate alla crescita 30 Un quadro europeo per le relazioni industriali Il riorientamento degli istituti di welfare sopra indicato, presuppone una revisione delle relative priorità Mi limito a ricordare che le esperienze, specie dei paesi a prevalente orientamento socialdemocratico, segnalano la possibilità di ridimensionare senza traumi sociali le componenti più costose del welfare assistenziale adottate nell’epoca della crescita continua, al fine sia di precisarne le condizioni di attivazione sia di selezionarne gli obiettivi, riducendo le sperequazioni che sopravvivono anche nei sistemi di welfare universalistico Per altro verso riforme diffuse in vari paesi hanno provvisto a spostare parte delle risorse (scarse) da 209 L’impegno europeo in questa direzione non può essere isolato da quello delle istituzioni e delle forze politiche e sociali degli Stati membri, che sono ancora le forze decisive per la costruzione comunitaria 81 impieghi tradizionali come quelli per le pensioni precoci e per interventi assistenziali, alle nuove priorità della politica sociale: sostegno all’occupazione dei gruppi più esposti rischi di mancanza di lavoro; interventi di riqualificazione professionale continua dei lavoratori e di riposizionamento del sistema produttivo per adeguare entrambi alle richieste della società della conoscenza; misure di “active ageing” per rispondere in modo positivo all’accelerato processo di invecchiamento della popolazione; politiche della famiglia dirette a contrastare il fenomeno della denatalità e a promuovere un welfare del ciclo di vita e della conciliazione; infine consistenti investimenti in educazione e ricerca per stimolare un nuovo canone di competitività e posti di lavoro a maggiore contenuto di conoscenza La ripresa di iniziativa dell’Europa nelle direzioni indicate non può non coinvolgere i rapporti collettivi di lavoro, se si ritiene, come prefigurato a Maastricht, che relazioni industriali riconosciute e autorevoli sono parte integrante del modello sociale e decisive per la stessa configurazione delle politiche pubbliche in questa materia Viceversa si è visto che le componenti principali delle relazioni Industriali fondate nei decenni passati sono state fortemente indebolite dalle pressioni della concorrenza internazionale e appaiono a rischio di declino Non a caso è soprattutto su queste tendenze delle Relazioni Industriali che si fondano le tesi sopra ricordate che sostengono l’affermarsi in Europa di una convergenza in direzione neoliberista caratterizzata da una crescente discrezionalità delle imprese nella gestione dei rapporti produttivi e di lavoro e dall’affermarsi delle spinte deregolative dei mercati Peraltro le tesi di questi autori, pur sottolineando la pluralità di segnali che indicano una convergenza al declino delle forme di regolazione collettiva del lavoro, non negano il permanere di differenze significative istituzionalmente e culturalmente condizionate e segnalano la incertezza dei punti d’arrivo di queste traiettorie neoliberali 210 0210 Cfr gli scritti già citati di L Baccaro-Howell, Il cambiamento delle relazioni industriali, in Carrieri -Treu, Verso nuove Relazioni Industriali, cit., e W Streeck, Reforming capitalism, op loc cit Anche secondo S Giubboni e A Lo Faro, Crisi finanziaria, governance economica europea e riforme nazionali del lavoro: quale connessione?, in Nuove regole dopo la legge 92/2012 competizione versus garanzie?, Giappichelli, 2013, p 40 ss., la strisciante decollettivizzazione del diritto del lavoro è la tendenza più preoccupante individuabile nelle recenti vicende europee, mentre sul piano delle tutele individuali il nocciolo duro del modello sociale europeo ancora resiste Tali tendenze sono facilitate dagli orientamenti della Corte di Giustizia europea, che è incline a valorizzare i diritti e le tutele individuali, mentre rivela scarsa sensibilità, se non posizioni limitative, nei confronti delle azioni collettive; cfr A Ojeda, Diritti fondamentali, concorrenza, competitività e nuove regole per il lavoro in una prospettiva di diritto comparato, ivi, p 9-40 Lo stesso F Scharpf, The asymmetry, cit., p 227, quando indica il ruolo della giurisprudenza della Corte di giustizia nel promuovere orientamenti “liberisti” nell’ordinamento europeo si richiama alle note decisioni Laval e Viking che hanno contribuito a depotenziare i diritti collettivi e l’azione sindacale Vedi gli equilibrati rilievi di L Bordogna, La regolazione del lavoro, cit., p 24, secondo cui mai come in questa fase le due tendenze alla convergenza e alla differenziazione convivono e si intrecciano; e in generale A Bryson, B Ebbinghaus, J Visser, Introduction, causes, consequences and cures of Union decline, cit Vedi gli equilibrati rilievi di L Bordogna, La 82 Le politiche europee sperimentate finora, compresi il sostegno alla contrattazione collettiva di vertice sancito al Maastricht e il riconoscimento dei CAE e della Società Europea, sono risultate insufficienti a invertire queste tendenze Lo sviluppo di nuove relazioni industriali europee e il contrasto rischi di declino passano da una rinnovata iniziativa delle parti sindacali e da una loro più decisa opzione europeista, ma presuppongono un sostegno da parte delle autorità comunitarie del metodo contrattuale e un rafforzamento delle sue basi giuridiche nell’ordinamento dell’Unione; orientamento che, come si è visto, non è privo di fondamento nelle norme del Trattato dell’Unione Inoltre, il sostegno della normativa comunitaria non può rimanere limitato alle relazioni industriali delle grandi imprese e trascurare le aree, sempre più deserte di collettivo, che sono le piccolissime imprese e i lavori atipici Qui condizioni di contesto favorevoli alla formazione di aggregazioni collettive tradizionali possono favorirsi solo in via indiretta: estendendo a queste aree alcune tutele fondamentali, forme di welfare diffuso, e sostenendo la partecipazione delle parti sociali, in specie dei sindacati, nelle istituzioni pubbliche che amministrano il welfare e i servizi all’impiego Si tratta di strumenti che possono affiancare l’attività tradizionale del sindacato sui posti di lavoro nell’attivare l’interesse dei lavoratori: una strada che registrato effetti positivi nei Paesi del Nord Europa, ove si è da tempo sperimentata La loro estensione su scala europea richiederebbe l’acquisizione da parte dell’Unione di competenze in queste materie, che finora non si profila Anche per rafforzare le relazioni industriali si conferma la necessità di iniziative convergenti delle istituzioni e delle parti sociali, come è stato nella costruzione dei sistemi nazionali di contrattazione collettiva sviluppatisi nel secolo scorso Le debolezze del governo istituzionale dell’Unione, e poi le politiche monetarie restrittive seguite di recente hanno influito negativamente anche sui comportamenti dei sindacati Li hanno costretti nell’alternativa fra gestione delle emergenze e accordi di concessione o di “pain sharing” 211 I sindacati sono stati spesso attratti “nelle trappole della competitività nazionale” 212 e hanno regolazione del lavoro, cit., p 24, secondo cui mai come in questa fase le due tendenze alla convergenza e alla differenziazione convivono e si intrecciano; e in generale A Bryson, B Ebbinghaus, J Visser, Introduction, causes, consequences and cures of Union decline, cit 211 Così L Bordogna, La regolazione del lavoro, cit., SM 2012, p 25, citando l’efficace espressione di P Marginson, New forms of cooperation new forms of conflict, Socio Econ Review, 2010, p 360 ss e V Glassner, M Keune, P Marginson, Collective bargaining in a time of crisis, in Transfer 17, 2011, p 303-321 212 83 L Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, intervista a cura di P Bergen, Laterza, Bari, 2012 rinunciato all’integrazione delle loro strutture e delle loro politiche, adeguandosi anch’esse alla logica minimalista del coordinamento fra attori nazionali D’altra parte queste scelte sindacali deboli non hanno trovato (ancora) risposte compensative in iniziative “dal basso” né da altre forme di reazione sociale invocate da molti teorici dell’ “Union renewal.” 213 31 Prospettive istituzionali e politiche Le riflessioni qui sviluppate sulle politiche sociali rinviano, come si è rilevato più volte, a problemi che coinvolgono l’intero processo di costruzione dell’Europa e le sue idee ispiratrici La crisi attuale segnala, solo maggiore evidenza, la insufficienza delle strade seguite finora dei miglioramenti incrementali delle istituzioni e delle politiche Questa strada evitato scelte estreme, ma prodotto politiche ambivalenti Non evitato l’allontanamento dagli obiettivi di progresso sociale, nè il blocco della crescita che indebolisce il peso dell’Europa nell’economia mondiale e l’aumento del disagio e delle diseguaglianze sociali, che sta minando la fiducia nella casa comune Talchè anche gli osservatori più europeisti rilevano che l’intera costruzione comunitaria rischia di essere non protagonista ma vittima della globalizzazione Le radici della crisi - lo si sta ormai riconoscendo - non sono solo finanziarie né economiche, ma riguardano i caratteri del modello economico e sociale sviluppati dal capitalismo moderno, anche nella variante europea dell’economia sociale di mercato Per questo si acutizza la necessità di definire quale modello economico – sociale si vuole perseguire e di ridiscutere gli obiettivi e le stesse categorie su cui i sistemi del passato sono stati costruiti Sul piano delle strategie politiche il vizio originario, si è rilevato una riflessione da tempo trascurata, è stato di aver abbandonato l’ambizione di costruire istanze di governo europee nella prospettiva di una unità politica, 3213 214 ripiegando su forme varie di coordinamento intergovernativo Cfr S Giubboni, M Peruzzi, La contrattazione collettiva a livello europeo, in T.Treu, M Carrieri (a cura), Verso nuove relazioni industriali, cit., in corso di pubblicazione Le prospettive di rinascita avanzate in tale direzione sono fondate su varie ipotesi e fanno leva sulla spinta di gruppi sociali diversi; cfr diversamente G.P Cella, The representation of non standard workers through collective bargaining, Back to the past, Paper presentend to the Manchester Congress of the European IRA, 2007, che pensa sindacati di mestiere; M Regini, Tre fasi, due modelli, cit., p 87, che sottolinea l’importanza di far leva sui knowledge workers 4214 Affinchè l’Europa non si accontenti di essere un grande mercato, ora neppure più tanto prospero, ma diventi “uno spazio democratico nuovo a scala continentale”, come non si stancava di ripetere J Delors, Dall’integrazione economica all’unione politica dell’Europa Lezioni del passato, prospettive del futuro, in SM 1998, p 11 ss; e ora G Amato, Prima che sia tardi: il coraggio di una nuova Europa, Il Sole 24 Ore, 10 agosto 2012; G Amato, R Gualtieri, Introduzione, in G Amato, R Gualtieri, Prove di Europa Unita, cit., p 23 ss, che rileggendo i cambiamenti graduali introdotti in questi anni nell’assetto istituzionale dell’Europa, in particolare dell’area Euro, indicano come già un bilancio europeo irrobustito da una effettiva “fiscal capacity” starebbe oltre il confine dei cambiamenti graduali e 84 delle politiche nazionali, insufficienti comunque e particolarmente deboli nelle materie sociali Per questo gli osservatori e i protagonisti più interessati al futuro dell’Europa richiedono una revisione politica costituente, prima di ulteriori inconsistenti assemblee e Trattati, e un social “growth compact” da affiancare al “fiscal compact” Esso andrebbe ricercato quel metodo concertativo che è stato praticato, pur alterni successi, in molti paesi membri negli ultimi trent’anni e che in ambito comunitario avuto il precedente più significativo nel patto per la competitività e per la crescita di Delors, non a caso da molti oggi richiamato Il ruolo politico dell’Unione non può limitarsi alla ricerca di una più stretta disciplina fiscale, ora sancita nelle stesse Costituzioni nazionali, compresa da ultimo l’Italia Né il rilancio dell’Europa sociale può poggiarsi solo sulla constatazione degli effetti deleteri delle politiche liberiste Servono iniziative politiche coraggiose e azioni nei terreni critici dell’occupazione e del welfare, capaci di ridare legittimità e fiducia alla comunità, fornendo alternative credibili alle soluzioni offerte dai mercati e dalle politiche passate Le migliori pratiche più volte ricordate sono segnali timidi, ma utili per muoversi in questa ricerca Non mancano riflessioni politico-culturali sviluppate in questi anni da varie scuole di pensiero,215 penetrate anche nel tessuto politico tormentato delle istituzioni e delle politiche europee, che propongono sintesi nuove per le prospettive del welfare, combinando i valori centrali delle tradizioni socialdemocratiche e liberal democratiche e riconcettualizzandoli nella realtà attuale Tali prospettive politiche e il potere “trasformativo” di queste concezioni soffrono della debolezza della dimensione sociale e politica europea, e di un’ Europa economica troppo preoccupata di austerità Resta da vedere se le prossime vicende della Comunità, delle sue scelte istituzionali e politiche, sosterranno diversi paradigmi economici e un nuovo equilibrio sociale in grado di diffondere le migliori pratiche sperimentate finora per dare spazio a una visione positiva di Europa orientata alla crescita e più attenta alla “cura” dei suoi cittadini 216 Le analisi più attente riconoscono le necessità di far procedere questo percorso, pragmatismo sociale lungimirante, su entrambi i piani del rafforzamento della costruzione economica e prospetterebbe un orizzonte di governo politico di tipo federale e una nuova di legittimazione democratica; ma aggiungono che la trasformazione in chiave univocamente federale della costruzione europea esige una modifica non solo dei Trattati, ma delle stesse costituzioni nazionali e, forse, una diretta consultazione elettorale (p.23) 5215 M Ferrera, From neoliberism, cit., p 22-25 6216 A Hemerijck, Changing welfare states, cit., spec p 22, p 396 217 F Vandenbroucke, A Hemerijck, B Palier, The EU needs a social investment pact, OSE, Paper series, Opinion Paper 5, 2011 85 istituzionale dell’Europa e delle innovazioni dei sistemi nazionali di diritto del lavoro e del welfare Tali operazioni possono avere tempi diversi, più di breve impatto quelle di consolidamento economico e fiscale a livello europeo, e più a lungo periodo le misure di social investement a livello nazionale 217 Nell’incerto procedere dell’ integrazione economica dell’Unione va raccolto l’appello realistico, se non a moderare le “ambizioni federali esplicite”, certo a salvare quello che è diventato non solo un elemento fondamentale degli Stati nazione, ma uno dei fattori identitari che tiene insieme la comunità, e che “distingue la memoria collettiva dei cittadini europei” da quella di cittadini USA 218 , vale a dire i sistemi di protezione sociale 219 Proprio perché la sfida è insieme politica, istituzionale e culturale, le nostre discipline del diritto del lavoro e delle relazioni industriali sono chiamate a contribuire gli strumenti loro propri, a partire dall’analisi delle esperienze e della loro trasformazione, ma “alimentando quel carattere di reflexive critical thinking, comune alla più vasta area delle scienze sociali, che serve a mantenere viva la cultura dei diritti e la centralità della questione del lavoro ancora nelle società contemporanee, decisiva per la costruzione democratica” 220 7218 C Joerges, Will the welfare state survive European Integration, European Journal of Social Law, 2011, I, p ss M Ferrera, Amici o nemici?, cit., p 21 220 G P Cella, T Treu, Per una difesa delle Relazioni Industriali, in GDLRI, 2009, p 538 219 86 87 ... indicazioni rilevanti in generale circa la “resilience” delle istituzioni e delle regole del lavoro e circa la loro capacità di controllare l’impatto della crisi sul funzionamento del mercato del lavoro, ... nazionali del lavoro costituiscono un elemento cruciale per valutare gli andamenti delle varietà di capitalismo, a conferma delle centralità delle istituzioni del lavoro, non solo in Europa Le valutazioni... innovazione delle pubbliche amministrazioni competenti a gestire le politiche del lavoro La debolezza delle strutture del nostro paese è menzionata fra i motivi della scarsa capacità di implementare le

Ngày đăng: 18/10/2022, 17:49

w